martedì 20 marzo 2012

..."un'ultima cena solitaria...

...faceva freddo, anzi spiovigginava un acquetta gelata, ero arrivata stanchissima a Terradiglios dos Templares, sul Cammino di Santiago, un paesino di quattro case, solitario, vuoto.
Non ce la facevo più e mi sedetti sul gradino della porta dell'ostello chiuso, qualcuno sarebbe arrivato...così speravo. Dopo un pò da una casa uscì un ometto che venne da me dicendomi (non so dirlo in spagnola ma allora ci capimmo) "L'hospitalera non c'è" e io gli risposi: "E allora che faccio?" "Va a Saagun" mi disse, "Quanti chilomentri sono?" "Solo 12" rispose...per me equivaleva alla traversata del Sahara, sconsolata mi riaccomodai sul gradino...disposta a dormire persino lì: "Non ce la faccio..sto qui" gli dissi e lui se ne andò. Dopo poco da un'altra casa uscì un altro ometto, arrivò da me e ripetè: "L'hospitalera non c'è...ma ti posso portare da suo marito" Così lo seguii. Il marito stava guardando la tv in una casa calda...che bello! Lui cercò in un cassetto e mi fece cenno di seguirlo e ritornammo all'ostello, aprì la porta e mi disse: "Aspetta qui" e mi lasciò da sola in un ingresso freddo, su un divano sfondo di vininpelle...ma era già qualche cosa! Così, stavo lì, ad aspettare non so che cosa, ma sulla parete di fronte a me c'era un poster con l'Ultima Cena di Dalì, questa che vedete, e...ci entrai, non so quanto tempo la cosa durò ma non mi importava più nulla di nulla, stavo lì con gli occhi fissi al quadro, anzi, c'ero dentro e, allora, "capii tutto" o almeno così mi parve...sapete che miracoli fanno la fatica, la solitudine, il freddo, la fame...insomma tutte quelle cose che accadono sui cammini, specialmente quando li si fanno da soli e d'inverno...poi "il marito" tornò, mi accese il riscaldamento in una camera e il boiler per fare la doccia e, quando molto più tardi arrivò la moglie scusandosi e raccontandomi che era andata ad ammazzare il maiale e aveva passato la giornata a fare salsicce (stagione giusta in novembre innoltrato), io me ne stavo al caldo del sacco a pelo. Mi diede da farmi da mangiare e finii la serata, un pò triste così da sola, a leggere sul libro dell'ostello le frasi dei pellegrini che mi avevano preceduto, ...ma quell'ultima cena non me la dimentico più! Sta a Washington e ci farei un viaggio solo per vederla...ne parlavo l'altro giorno con Federica alla mostra di Dalì, pittore che mi piaceva ma che non era il mio favorito quanto: Mirò o Magritte...da quel giorno solitario nel cuore di una Spagna solitaria e gelata, ho cominciato a guardare le sue opere con altri occhi...ma non riesco più ad arrivare a quella "profondità di comprensione" di quel tardo pomeriggio spagnolo.
Ieri sera l'ho cercata in internet e, su un sito sulla sezione aurea ho trovato quanto segue e che mi pare bello...ciaooo, buona giornata!


Il sacramento dell’Ultima Cena fu dipinto nel 1955 ed è oggi conservato al National Gallery di
Washington. Il primo riferimento alla sezione aurea nell’opera si rintraccia nelle dimensioni del
dipinto (all’incirca 268x167 cm) che sono in un rapporto molto vicino a quello aureo e che
delineano quindi un rettangolo aureo.
L’opera presenta la caratteristica impronta visionaria di Dalí, espressione della sua bizzarria e folle
ostentazione. L’artista produce questa tela nella parte della sua vita conosciuta come “periodo
mistico”, in cui si riavvicina al cristianesimo, non senza ambiguità e travagli interiori.
Il tema dell’Ultima Cena è trattato innumerevoli volte nel campo della pittura (si pensi a Leonardo).
Ma questa composizione è un’originalissima creazione fuori da ogni schema iconografico
tradizionale; è un’intima e solenne celebrazione che inquieta, crea sconcerto, conduce in un mondo
che sta “oltre”, in una dimensione eterea che si scorge sullo sfondo.
Il soggetto è un rito liturgico che ricapitola tutta la vita di Gesù. Dalí associa genialmente tutta la
storia del Cristo in un’unica composizione: il “luogo della parola” di Gesù (il lago di Galilea e
dintorni) e il “luogo del corpo” donato (il Cenacolo, a Gerusalemme). Il Cenacolo ha le pareti
trasparenti, che lasciano intravedere un enorme dodecaedro (il solido platonico strettamente
connesso con la sezione aurea) che fluttua sopra la tavola e la circonda: la geometria rappresenta qui
qualcosa di mistico che rimanda alla divina proporzione. Dalí stesso ha dato una spiegazione
all’intento di dare risalto al rapporto aureo nel quadro: egli ritiene che “l’eucaristia dev’essere
simmetrica”. La ragione della scelta del dodecaedro è invece da ricondurre alla particolare
concezione che Platone aveva di questo solido: esso sarebbe “la forma usata dalle divinità per
ricamare le costellazioni sull’insieme dei cieli” e quindi simbolo dell’universo nel suo insieme.
Altro elemento chiave della tela è la luce, generata da un sole all’orizzonte e nel contempo surreale,
che produce un effetto di sorpresa sull’osservatore.
Al centro della tavola, Cristo è quasi trasparente, l’unico a non proiettare ombra sull’immensa
tavola, anzi sembra essere lui stesso fonte di luce. Con una mano indica se stesso, la sua esistenza
terrena; con l’altra fa alzare lo sguardo alla sua prossima condizione di risorto. Il meraviglioso busto
geometrico, corpo celeste che domina la scena, innalzato tra cielo e terra, rimanda al Mistero
Pasquale. È additato dallo stesso Cristo al centro del banchetto, che svela così il significato della
rappresentazione.
La tavola spoglia, accoglie un pane e un calice, simboli eucaristici, elementi essenziali del
banchetto. I dodici apostoli sono raffigurati col capo chino e in una posizione di meditazione
monastica.
Su tutto trionfa una luce che non è più quella del crepuscolo del Giovedì santo ma quella dell’alba
della Pasqua. Lo spazio davanti è vuoto: come un invito a prendere posto davanti a tanta luce e a
renderci partecipi del Mistero Pasquale.

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