Non ce la facevo più e mi sedetti sul gradino della porta dell'ostello chiuso, qualcuno sarebbe arrivato...così speravo. Dopo un pò da una casa uscì un ometto che venne da me dicendomi (non so dirlo in spagnola ma allora ci capimmo) "L'hospitalera non c'è" e io gli risposi: "E allora che faccio?" "Va a Saagun" mi disse, "Quanti chilomentri sono?" "Solo 12" rispose...per me equivaleva alla traversata del Sahara
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Ieri sera l'ho cercata in internet e, su un sito sulla sezione aurea ho trovato quanto segue e che mi pare bello...ciaooo, buona giornata!
Il sacramento dell’Ultima Cena fu dipinto nel 1955 ed è oggi conservato al National Gallery di
Washington. Il primo riferimento alla sezione aurea nell’opera si rintraccia nelle dimensioni del
dipinto (all’incirca 268x167 cm) che sono in un rapporto molto vicino a quello aureo e che
delineano quindi un rettangolo aureo.
L’opera presenta la caratteristica impronta visionaria di Dalí, espressione della sua bizzarria e folle
ostentazione. L’artista produce questa tela nella parte della sua vita conosciuta come “periodo
mistico”, in cui si riavvicina al cristianesimo, non senza ambiguità e travagli interiori.
Il tema dell’Ultima Cena è trattato innumerevoli volte nel campo della pittura (si pensi a Leonardo).
Ma questa composizione è un’originalissima creazione fuori da ogni schema iconografico
tradizionale; è un’intima e solenne celebrazione che inquieta, crea sconcerto, conduce in un mondo
che sta “oltre”, in una dimensione eterea che si scorge sullo sfondo.
Il soggetto è un rito liturgico che ricapitola tutta la vita di Gesù. Dalí associa genialmente tutta la
storia del Cristo in un’unica composizione: il “luogo della parola” di Gesù (il lago di Galilea e
dintorni) e il “luogo del corpo” donato (il Cenacolo, a Gerusalemme). Il Cenacolo ha le pareti
trasparenti, che lasciano intravedere un enorme dodecaedro (il solido platonico strettamente
connesso con la sezione aurea) che fluttua sopra la tavola e la circonda: la geometria rappresenta qui
qualcosa di mistico che rimanda alla divina proporzione. Dalí stesso ha dato una spiegazione
all’intento di dare risalto al rapporto aureo nel quadro: egli ritiene che “l’eucaristia dev’essere
simmetrica”. La ragione della scelta del dodecaedro è invece da ricondurre alla particolare
concezione che Platone aveva di questo solido: esso sarebbe “la forma usata dalle divinità per
ricamare le costellazioni sull’insieme dei cieli” e quindi simbolo dell’universo nel suo insieme.
Altro elemento chiave della tela è la luce, generata da un sole all’orizzonte e nel contempo surreale,
che produce un effetto di sorpresa sull’osservatore.
Al centro della tavola, Cristo è quasi trasparente, l’unico a non proiettare ombra sull’immensa
tavola, anzi sembra essere lui stesso fonte di luce. Con una mano indica se stesso, la sua esistenza
terrena; con l’altra fa alzare lo sguardo alla sua prossima condizione di risorto. Il meraviglioso busto
geometrico, corpo celeste che domina la scena, innalzato tra cielo e terra, rimanda al Mistero
Pasquale. È additato dallo stesso Cristo al centro del banchetto, che svela così il significato della
rappresentazione.
La tavola spoglia, accoglie un pane e un calice, simboli eucaristici, elementi essenziali del
banchetto. I dodici apostoli sono raffigurati col capo chino e in una posizione di meditazione
monastica.
Su tutto trionfa una luce che non è più quella del crepuscolo del Giovedì santo ma quella dell’alba
della Pasqua. Lo spazio davanti è vuoto: come un invito a prendere posto davanti a tanta luce e a
renderci partecipi del Mistero Pasquale.
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