
mercoledì 29 febbraio 2012
silenzio blog...

martedì 28 febbraio 2012
..."per amore del mio popolo non tacerò"...
..."il mio popolo" che siete voi pellegrini...vi dicevo del pellegrino non vedente...mi ha richiamato oggi e abbiamo fatto una lunga e bellissima telefonata dove tutta la sua sensibilità, la sua gioia di vivere saltava fuori...e sarà bello, molto bello incontrarlo ad Assisi. Poi, nel pomeriggio, sono andata dall'Ottorino per il mio costante fischio all'orecchio e, parlando, mi ha detto che poteva essere un fatto di circolazione...farò esami...ma io, a sto punto, ho detto: "Io sono una gran camminatrice che ora non sta camminando...ho inventato il cammino di Francesco..." Non ho finito la frase che c'è stata un'esplosione di entusiasmo sia della dottoressa che dell'infermiera, la dottoressa ha chiamato subito il figlio adolescente camminatore e me lo ha passato...insomma, cammini, entusiasmo, Bellezza....ecco qua il mio popolo ed è per questo popolo che devo fare battaglie che non farei, che non ho voglia di fare, perchè è combattere contro un muro di incomprensione, della più squallida incomprensione....che ne sanno loro di tutta questa gente, credente e non credente, che ha bisogno di un percorso, che si entusiasma, per un percorso che è una scusa per incontrare sé stessi, la natura, il creato, la bellezza...Dio?! Come possono ergersi a giudici dell'anima di chi passa?! Hanno mai ascoltato qualcuno, gioito con la persona per le sue scoperte, ascoltato i suoi dolori e le sue gioie?! Chiara lo faceva...tutto qui ,e lo faccio pure io, senza consacrazioni, senza famiglie religiose...senza tante cose se non l'ascoltare e gioire per gli altri...perchè quella gioia mi alimenta e diventa anche la mia....quella dottoressa, quella infermiera, il pellegrino non vedente sono per me risposte del Cielo...i miei segnali che mi dicono: "Vai avanti...è per loro che vai avanti..." GRAZIE PER TUTTA QUESTA BELLEZZA!
Quando un luogo di Dio...perde la sua vocazione: CERBAIOLO
Assisi 24 febbraio 2012
CHIARA: La “TESTATA D’ANGOLO” di Cerbaiolo
Di Angela Maria Seracchioli pellegrina, sua amica
Da adolescente andavo con gli amici “per case vecchie”, così chiamavamo le nostre uscite su e giù per i colli romagnoli con l’850 dell’unico che avesse patente e macchina. Uscite domenicali a sognare su pietre antiche, nascoste, che immaginavamo rinascere, luoghi dove sarebbe stato bello vivere in pace e armonia. L’uscita terminava sempre con una buona piadina e una birra e si ritornava in città, nella nebbia e nella pianura inquinata di quella città che era la nostra: Ravenna. Credo che fu così che scoprii Cerbaiolo, in una gita domenicale come tante, ma lì c’era qualche cosa di più e ci tornai da sola dopo non molto per poi non smettere più d’andarci; per tutta la vita.
Prima di possedere una macchina, prendevo il treno fino a Rimini e poi, l’unica corriera fino al passo di Viamaggio e mi facevo a piedi i quattro chilometri della vecchia sterrata; la strada del passo per il Montefeltro ai tempi di Francesco. Non so quante volte ho fatto questo viaggio dell’anima ma di certo è stato con tutti i tempi: col sole e con la pioggia, nel buio e nella neve, felice o disperata, con nel cuore un mondo di cose belle da raccontare a Chiara o con un vuoto che solo il silenzio di quel luogo poteva riempire ed accarezzare…ma tutte le volte che salivo l’ultimo tratto di sentiero, il cuore batteva forte mischiando l’affanno del respiro all’emozione di quel ritorno a casa, al mio solitario faro aggrappato alla roccia, a quelle pietre aperte su un paesaggio alla Perugino dove il belare delle capre e la voce un po’ nasale e potente di Chiara mi accoglievano perché loro, le capre, e lei, Chiara, mi attendevano là in cima dandomi sempre il benvenuto.
Quella prima volta solitaria fu per me decisiva, Chiara non era in quel tempo l’anziana e forte presenza seduta vicino al camino che tanti ricordano, era una energica donna di 45 anni che correva su per le colline più veloce delle sue capre che sempre si perdevano e dovevamo andarle a cercare, ed io una ragazza piena di sogni e di grande confusione che cercava lì un po’ di pace al tumulto del cuore.
Cerbaiolo era allora in pieno restauro e lei correva da un ufficio all’altro recuperando fondi, disputando una campana del ‘300 che un parroco si era portato via quando l’eremo era in rovina e che lei recuperò; dirigendo operai, scovando porte in un convento che chiudeva e che andavano a pennello lì…sempre con un’attenzione al dettaglio e all’armonia che non richiedeva fronzoli ma che esaltava una bellezza semplice e discreta.
Si era presa la patente apposta per essere indipendente e faceva miracoli con la sua Diane, la serie di sue Diane, che usava come jeep. Trovava pure il tempo di fare la ricotta e buonissime marmellate con le more grossissime e speciali dei rovi ai piedi dell’eremo che valevano la pena di riempirsi di graffi per raccoglierle o misture curative di erbe seguendo le antiche ricette della sua amica Hildegarde di Bingen che imparai a conoscere così.
Giornate piene dove: “Fratello mosca” non esisteva perché il lavoro era la più bella forma di preghiera.
Poi, però, veniva il tramonto e ci sedevamo lì su quel “balcone sulla Bellezza” che è il praticello fuori dalla porta dell’eremo e gli affanni del giorno si scioglievano e, quella luce che si addolciva accendendo le prime stelle, riusciva a rallentare la sua corsa ed ammutolire quella “Chiacchierona dell’Angela”. I gatti arrivavano a strusciarsi sulle gambe, il cagnetto di turno si metteva ai suoi piedi e stavamo lì a godere quel miracolo senza tempo del giorno che muore.
Chiara; con lei ho avuto momenti d’incanto e ci ho pure litigato come si fa solo con i veri amici, poi, da due cocciute molto simili come eravamo, facevamo pace non dicendo una parola sull’accaduto e nemmeno chiedendoci scusa, magari facendo da mangiare insieme a modo suo e non al mio o dopo il mio aver spazzato il chiostrino come pareva a lei.
I ricordi si accavallano ma quella prima volta mi è rimasta nel cuore, mi mise in mano il “San Francesco” di Bargellini dicendomi: “Leggilo è molto bello”e io passai l’intera giornata a divorarlo sul roccione sopra all’eremo, era il mio primo libro su quell’Essere Speciale che era suo amico e che lì, in quel vento di primavera, divenne anche il mio. I miei, perché Chiara d’Assisi era presente come Lui e la novella Chiara l’amava quanto me.
Tutta la mia vita è passata di lì, vi ho portato solo gli amici che potevano capire lei e il luogo, capire Cerbaiolo perché Chiara era la sua “testata d’angolo” e per me dire: “Ho un luogo speciale da farvi conoscere, è un regalo, mi raccomando non ditelo a chi non può capirlo!” Voleva dire portarli da lei e da lui l’eremo, da Lui con l’elle maiuscolo.
Una volta ci salii con un mio compagno di accademia, Giles un inglesino mosaicista dall’aspetto di principe, fra i due fu un amore a prima vista! Giles parlava abbastanza bene l’italiano e mentre Chiara ci accompagnava su per la ripida scala per darci le nostre cellette lei gli chiese: “Sei cristiano?” E lui le rispose: “No, sono pagano” intendendo ateo. La risata di Chiara risuonò fragorosa e lungamente fra quei muri e, da allora e per molto tempo, tutte le volte che salivo lassù lei con piacere e interesse mi chiedeva: “Come sta il pagano?” Perché quella sincera affermazione di una bella e sensibile persona quale lui era, le era piaciuta molto ed era nata così un’amicizia.
Poi ci ho portato altri amici speciali e, queste altre volte la domanda la faceva a me: “Chi mi porti sta volta? E’buddista, induista o cosa?” Ma era sempre una domanda per iniziare una conoscenza, lei sapeva che erano comunque dei ricercatori, era un chiedere mai per escludere o rivendicare una superiorità religiosa, Chiara accoglieva e basta, ti dava quello che era lei, quello che per lei era un tesoro, oppure semplicemente era come era, con le sue piccole e grandi illuminazioni magari raccontate come una bella storia da ascoltare vicino al camino, se l’atmosfera era divenuta quella giusta, e il “neofita dell’eremo di turno” se ne andava a letto pieno di wander, di ammirazione e stupore.
Per la festa di Sant’Antonio io la aiutavo a fare montagne di lasagne, avevo pure l’onore di pulire la cappelluccia nel bosco e decorarla come pareva a me, privilegio raro perché non era facile compiacerla…Chiara cucinava molto bene e per la festa tanti salivano all’eremo. Una volta c’era lì un ragazzo olandese, faceva una tesi di laurea in geologia e il suo professore aveva preso una carta d’Europa e, a caso, o per Dio-incidenza ma lui non lo sapeva, aveva puntato il dito su Cerbaiolo dicendogli: “Va a studiare quel pezzetto della Terra.” Così lui se ne stava lassù e, quella sera di vigilia, noi facevamo lasagne discutendo di massimo sistemi, io con tutti i miei libri di filosofie orientali, lui con la sua visione scientifica e nel contempo spirituale…Chiara ascoltava e rimestava besciamella, silenziosa, poi sbottò:
“Ma non è che vi state complicando la vita?!”
E fummo noi a tacere perché era proprio vero!
Cerbaiolo d’inverno, quando non si ha voglia di andare a dormire perché l’unico luogo caldo è la cucina e la celletta numero 2, la mia - sono sempre stata gelosa di questa stanzina e guai se la trovavo occupata- è vagamente meno gelida perché è proprio sopra il caminetto e un po’ di tepore passa nel pavimento lasciando negli abiti un odore di fuliggine che solo potenti lavaggi mandano via. E’ quando il vento ulula abbracciando gli spessi muri che proteggono e contengono che più amo Cerbaiolo. Quando la nebbia arriva a folate e ti devi coprire bene per andare a recuperare una fascina di legna, quando le rocce nel cortiletto si coprono di rivoli d’acqua e la montagna scompare austera…quante volte ho immaginato Francesco salire nei suoi poveri stracci e poi sedersi vicino al fuoco insieme a noi a scaldare le mani rosse di freddo, aspettavo che bussasse pronta a fargli posto e a mettergli in mano qualche cosa di caldo e di buono…!
Quello era il tempo dei racconti, delle sere passate da sole alla luce del fuocherello.
In sere così Chiara mi raccontava della sua vocazione bambina, di un raggio di sole che colpì il suo ricamo in un giorno senza sole quando lei chiedeva un segno e il segno arrivò così. Del suo viaggio con un’amica fino da Padre Pio e del suo timore di essere scacciata dal confessionale come aveva visto accadere ad altri, della dolcezza di quel santo vegliardo che le disse carezzandola con le parole: “No, no figliola, il mondo ha bisogno di persone come voi, non dovete ritirarvi” E lei gli aveva ubbidito anche se aveva avuto bisogno di una conferma che le arrivò con le stesse parole all’Eremo delle Carceri, quando ancora stava cercando la sua via.
E poi i racconti che mi mettevano paura e non era più il freddo che volevo evitare non decidendomi ad andare a letto ma il buio del corridoio, il silenzio delle cellette vuote, racconti di ostilità maligne al suo voler rimettere in piedi questo Luogo di Dio che terminavano sempre con un: “Non ce la fa...ci prova ma non ce la fa”
Ci fu anche un capodanno passato lassù, il vento scuoteva le finestre e, per far festa, con un signore svizzero giocammo a tombola, chi vinceva si beveva un bicchierino di marsala…vincemmo a turno tutti e tre e dopo eravamo un po’ brilli e quella sera andammo a letto, per così dire, caldi.
E poi, da ultimo, il mio scrivere la guida del Cammino di Francesco e ancor prima percorrerlo per me sola con quella prima tappa dalla Verna e l’arrivo al tramonto stanca e felice come se fosse la prima volta che giungevo lassù. Fu lì che mi raggiunse l’editrice qualche mese dopo e si decise che avrei scritto il percorso che diveniva così non più mio ma per gli altri.
“Chiara, capisci bene, ti do un sacco di lavoro così, tanti arriveranno e come farai?”
Chiara non aveva dubbi, stanca, con le sue mani annodate da tante fatiche il corpo non più elastico e quel suo dormire già da tanto su quella sedia sgangherata vicino al fuoco, mi disse:
“Non ti preoccupare, aprirò la porta ai pellegrini, l’ho sempre fatto, lo farò ancora.”
Stavo lì con il mio computer, le feci leggere cosa avevo scritto della storia di Cerbaiolo e lei corresse le inesattezze, ci accordammo nel dire: “Pellegrini, portatevi il cibo per la sera Chiara vi ospita ma non può stare a cucinare ” Ma poi lei non “rispettò gli accordi” e i suoi mitici minestroni li offrì a tutti regalando Bellezza e calore.
L’ho rivista per l’ultima volta all’ospedale di Arezzo, aveva una camicia rosa a fiorellini e tutte e due ci abbiamo riso sopra, e chi l’aveva mai vista vestita così? Un’infermiera è entrata sorridendo cantando: “Haidi, Haidi:” Perché le avevano detto che viveva su una montagna con le caprette. Ridevamo tutti ma poi io, rivolta all’infermiera, ho detto:
“Non si faccia ingannare, questa è una tosta, un generalissimo e vive in un luogo da contenere….” Chiara ha aggiunto:
“Da domare”
e fra di noi è passato uno sguardo d’intesa.
Cerbaiolo, un Luogo di Dio, forte, potente, dolce ed austero e lei, Chiara, la sua “testata d’angolo” che l’aveva domato e che ancora lo regge da laggiù, da quel dolce cimiterino con la cappelletta della “Madonna del tramonto”.
I pellegrini, anche quelli che non ti hanno conosciuto, si fermano un poco sulla tua tomba e poi me lo raccontano come qualche cosa di bello e prezioso.
Sei nell’aria e nelle pietre, nelle more e nei fiori, nel vento che ulula e nel respiro affannoso di chi arriva lì a fine tappa; cocciuta come Mara la tua mula vecchietta, non te ne vai, e perché dovresti?! Sei l’ultimo angelo degli angeli che hanno vissuto in quel Luogo Santo che ti ha chiamato un giorno lontano e che chiamerà le persone giuste al momento giusto perché non muoia, perché quella porta continui ad aprirsi per accogliere, così, semplicemente, come facevi tu.
Di te gli amici tramanderanno la memoria come faccio io in questa sera calda d’estate nell’Assisi dei nostri comuni amici, mentre tutta la mia vita mi passa davanti e potrei non smettere più di scrivere perché i ricordi fanno ressa e tutti vorrebbero essere scritti.
L’averti incontrata è stata una benedizione della mia vita, ti devo tanto, ma tu lo sai e…senza parole come quando facevamo pace…faccio da mangiare come facevi tu, apro la porta e do il benvenuto a chi passa e poi se ne va, a mio modo ho preso il testimone che mi hai passato e corro la mia corsa diversa, ma sullo stesso tracciato. Che Dio ti benedica, amen
Piccola storia di Cerbaiolo
In parallelo quella di Chiara
Anno 706 Sorge un primo piccolo monastero fatto costruire da Tedaldo, signore di Tiferno (Città di Castello). La figlia convertita al cristianesimo, chiese che in quel luogo, dalle rocce come il Golgota, fosse eretto un luogo in cui si pregasse senza sosta e li vi si trasferì una comunità benedettina.
Anno 723 Nella casa di Tedaldo viene steso un atto notarile che attesta la donazione ai monaci benedettini affinché non venga mai contestato il loro diritto di proprietà di Cerbaiolo.
Anno 1126 I benedettini abbandonano Cerbaiolo per trasferisi in altri due monasteri in zona.
Anno 1150 Papa Gregorio III scomunica coloro che danneggiano la foresta di Cerbaiolo ancora proprietà dei benedettini.
Anno 1216 S, Francesco andando per la terza volta alla Verna, passa per Pieve Santo Stefano e gli viene offerto l’eremo disabitato per i suoi frati, Lui l’accetta pur rimanendo la proprietà dei benedettini.
Anno 1218 Dopo lavori di consolidamento e restauro i frati vi si trasferiscono definitivamente.
Anno 1230 S. Antonio sa Padova vi sosta per un periodo di ritiro e per terminare lì i “Sermones” che il Papa gli aveva chiesto di scrivere, è l’anno che precede la sua morte.
Anno 1240 Da un censimento dei luoghi francescani umbri, Cerbaiolo e Montecasale risultano essere Romitaggi della Custodia perugina, essendo a quel tempo queste terre parte dell’Umbria.
Anno 1306 Da alcune fonti si apprende che i benedettini cedono ai francescani la proprietà del luogo in cambio di un palazzo a Badia. La chiesa viene ora dedicata a San Francesco.
Anno 1518 Con l’approvazione di Papa leone X la proprietà dell’eremo passa dai frati Conventuali ai Minori Osservanti. La chiesa cambia il titolo in “Santa Maria di Cerbaiolo”.
Anno 1587 In quest’anno l’eremo è abitato da una comunità di 12 frati.
Anno 1716 Viene eretta nel bosco la cappella in onore di S. Antonio dove si dice fosse la sua capanna e per conservare la memoria di un precedente piccolo oratorio.
Anno 1783 Con il permesso del vescovo i frati lasciano Cerbaiolo e si trasferiscono a Pieve Santo Stefano. Cerbaiolo diviene sede parrocchiale con il titolo di “S. Antonio da Padova” retta da un prete. Il convento viene occupato da delle famiglie e nasce così la piccola frazione di Comune.
Anno 1925 nasce a Marina di Ravenna Annunziata Barboni seconda di 4 figli di una modesta famiglia di operai che faticavano a sbarcare il lunario e avevano poco tempo per le cose dello spirito, la mamma era devota alla Madonna ma non frequentava la chiesa particolarmente.
Anno 1930 a Cerbaiolo abitano 39 persone più quelle che vivono nelle case coloniche dei dintorni.
Anno 1940 Annunziata - che prenderà il nome di Chiara da consacrata - per una forma pretubercolare è ricoverata in un preventorio nel modenese e questa forzata sosta la porterà ad un approfondimento della sua fede.
Anno 1941 A 16 anni in privato prende i voti affidandosi a…quello che verrà. Ma questa decisione non è improvvisa perché fin da bambina andava maturando.
Sempre a 16 anni, con un’amica, diviene terziaria francescana.
Anno 1944 il 28 agosto i tedeschi in ritirata minano e fanno saltare la chiesa di Cerbaiolo, parte del convento e le case coloniche. Le famiglie lasciano il luogo e, dopo poco, Cerbaiolo resta abbandonato.
Nel dopoguerra Chiara incontra Padre Pio e cerca la sua via frequentando anche un corso come infermiera.
Anno 1950 a Marina di Ravenna con delle amiche che la seguono ma senza vincoli particolari con la Chiesa locale, offrono servizi alla collettività, nasce anche un piccolo albergo per soggiorni di famiglie in vacanza al mare...sempre in quell’anno entra a far parte della Piccola Fraternità Francescana di santa Elisabetta in cui emette i voti e fa professione perpetua.
Ma Chiara va cercando un luogo solitario, una “casaccia “ in cui mettere in pratica il suo proposito-sogno d’ infanzia che scritto su un foglietto e dato al suo confessore recitava così:
“Vorrei vivere in un luogo solitario ma non chiuso, senza altra regola che quella di amare il Signore in tutte le cose”.
Anno 1966 Passano anni di ricerca del “Luogo” e, finalmente, lo trova, è Cerbaiolo distrutto e abbandonato.
Anno 1967 Il Vescovo di Sansepolcro decreta la donazione della Chiesa in rovina e parte del convento di proprietà della Curia all’ Istituto Secolare Francescano di cui fa parte Chiara.
Anno 1968 La Sopraintendenza ai Monumenti inizia i lavori di restauro a carico parziale dell’amministrazione dello stato.
Anno 1970 I componenti della S.A. “Singola” cedono il resto del convento di loro proprietà.
Anno 1975 Sono terminati il lavori di recupero e restauro di tutto il complesso.
Ma da molto prima Chiara vi vive…da quando anche solo un frammento di Cerbaiolo è in qualche modo abitabile
Anno 2010 in Maggio Chiara vola in Cielo…e quello che di lei resta sulla Terra abita ancora lì…
E la storia continua, continuerà, Deve continuare…
lunedì 27 febbraio 2012
gli sposi pellegrini di ritorno...
domenica 26 febbraio 2012
Il senso di impotenza e l'apatia

Beh, incazzata nera anche con voi che leggete, trascrivo qui un pezzetto del libro che è la citazione di un discorso fatto nel 1981 dal professor Nicholas Humphrey alla BBC (notare nel 1981 31 anni fa) io non so nemmeno chi sia questo professore ma...dice cose giuste!
“Sulla copertina del Bollettino degli Scienziati Atomici l’orologio del giorno del giudizio, fissato a dieci minuti a mezzanotte qualche anno fa, è stato fatto avanzare di sei minuti nel passato gennaio: ora siamo a quattro minuti da quel giorno. Voglio farvi una semplice domanda. Perché? Perché ci comportiamo come i Lemmi, le Avicole?*** Perché lasciamo che accada? Come disse Lord Mountbatten: “Perché ce ne stiamo fuori e non facciamo nulla per prevenire la distruzione del nostro mondo?” E poi Mountbatten disse nello stesso discorso: “Ma il fatto pauroso della corsa agli armamenti, che ci sta dimostrando che stiamo correndo a testa bassa verso il precipizio, fa sì che qualcuno di coloro che sono responsabili per questo corso disastroso delle cose ritrovi sé stesso e allunghi la mano verso il freno? La risposta è no.” Ora voglio domandare come può essere no la risposta?
Forse vi è una risposta ovvia, ed è semplicemente che non ne siamo coscienti. E’ possibile che: o non lo sappiamo o che sottovalutiamo i pericoli della corsa agli armamenti? Possibile che pensiamo che il falò che ci è stato costruito attorno non prenda mai fuoco e, persino, che più diventa grande e meno c’è pericolo?
Quando ero bambino avevamo una vecchia tartaruga chiamata Ajax. Un autunno, Ajax stava cercando un riparo per l’inverno e, non vista, strisciò sotto la pila di legna e rami che mio padre aveva ammassato per il falò di Guy Fawkes Day ****. I giorni passavano e venivano aggiunti pezzi di legname alla pila e Ajax dovette sentirsi sempre più sicura lì sotto perché, ogni giorno, lei era sempre più protetta dal ghiaccio e dalla pioggia. Il 5 novembre, la catasta di legna e la tartaruga furono ridotte in cenere. Vi è ancora qualcuno di noi che creda che ammassare armi su armi aumenti il nostro livello di sicurezza e che i pericoli siano nulla a confronto dell’assicurazione che esse ci danno?”
*** (N.d.T Vi è un mito che vorrebbe che questi piccolo roditori, nelle loro migrazioni, commettano una sorta di suicidio di massa gettandosi in mare)
**** (N.d.T.Commemorazione di un tentativo di distruggere il Parlamento inglese da parte di Guy Fawkes mettendo una bomba nelle fondamenta, fu scoperto e giustiziato, da allora in tutta l’Inghilterra, il 5 novembre, si fanno falò a ricordo in Guy Fawkes Day)
il "giochino del falò del Corano" mi sa che sia per usare tutte quelle armi che "l'istituzione corsa agli armamenti" come la chiama Scott Peck, non ha mai smesso di impilare...se le guerre finiscono come fanno a continuare a produrle?!
"Il Rifugio" di W. Paul Young...assolutamente da leggere!


sabato 25 febbraio 2012
ma come si può essere così imbecilli?!

Kiran...la cagnona che non è più

venerdì 24 febbraio 2012
Vi presento Beatrice!
ARI-BENVENUTA FRA NOI PICCOLO CAPOLAVORO!
E' nata la "principessa" BEATRICE !

"A l'ospedale d'Assisi, il 23 Febbraio alle ore 23.06 è nata Beatrice! 3,750 kg. di salute!"
Evviva!!! Ma sapete chi è la mamma?!
ALESSIA, LA PELLEGRINA GRANDE HOSPITALERA DELLA PERFETTA LETIZIA E DI SAN NICHOAS IN SPAGNA!
Chi è stato alla "Perfetta Letizia" nell'ultima estate della sua esistenza si ricorderà dell'efficientissima, sorridente, simpatica moretta dall'accento "caruso" ed eccola qua, mamma nella città del suo amato Francesco! Che ti "sforna" uno zuccherino dolce come la pasta di mandorle e che porta pure il nome della sorella della grande Chiara!
Ah che scherzi che fanno sti cammini! Uno, ingenuamente, si mette in cammino e poi, per una serie di Dio-incidenze, lontano dalla nativa Sicilia...incontra l'amore, Fabio e...zac, si sposa e rimane subito in attesa!
Insomma, pellegrini gioite, una nuova pellegrina della vita è arrivata nella sua prima grande tappa su questo Cammino terreno!
"La "Fata Flora" (sono grassa e corta come lei) "volerà" all'ospedale domani per portare i sui auguri e tante profezie di bene e di bellezza alla "principessa"...e vi potrà far vedere il suo volto e quello della sua famiglia felice. (lei ha una macchina fatata per catturare la bellezza.)
E le porterà pure questa frase di Chesterton che teneva in serbo per lei!
Virtualemente, nel cuore della notte, ogni bene a Beatrice, alla sua sorridente mamma Alessia, al suo papà Fabio che sarà fuori di sé dalla gioia e alla "sorellona" Adelaide che avrà un sorriso da un'orecchia all'altra!
La "fata Angela" vi benedice e sparge polvere di bene sulla culla di questo nuovo esserino,
BEN VENUTA SULLA TERRA!
"L'avventura suprema è nascere. Così noi entriamo all'improvviso in una trappola splendida e allarmante. Così noi vediamo qualcosa che non abbiamo mai sognato prima. Nostro padre e nostra madre stanno acquattati in attesa e balzano su di noi, come briganti da un cespuglio. Nostro zio è una sorpresa. Nostra zia, secondo la bella espressione corrente, è come un fulmine a ciel sereno. Quando entriamo nella famiglia, con l'atto di nascita, entriamo in un mondo imprevedibile, un mondo che ha le sue strane leggi, un mondo che potrebbe fare a meno di noi, un mondo che non abbiamo creato. In altre parole, quando entriamo in una famiglia, entriamo in una favola." G. K. Chesterton
ps: in questa favola non ci sono streghe cattive ma solo fate...e poi Flora-Angela quando vuole è un mastino...che tiene alla larga i cattivoni! Parola!!
giovedì 23 febbraio 2012
la luna che sorride!

Per gli italiani lo show lunare sarà visibile subito dopo il tramonto del Sole venerdì, intorno alle 19,30. Tra l'altro, le condizioni meteorologiche dovrebbero essere favorevoli e il cielo sarà, a quanto pare, sgombro da nuvole in gran parte del territorio nazionale. Chi è più fortunato, invece, potrebbe riuscire a vederla già la sera di giovedì 23 febbraio. Per la prossima visione, invece, dovremo aspettare fino al 2023. Quindi, è meglio approfittarne ora.
Questa curiosa posizione della Luna, alle nostre latitudini, è piuttosto rara. Dall'Italia, infatti, di solito vediamo la falce lunare quasi sempre in posizione verticale, sulla parte destra quando è Luna crescente e sulla parte sinistra quando è Luna calante. Nella fascia tropicale, cioè molto più a sud rispetto a noi, è invece più frequente osservarla in posizione orizzontale, ovvero "a barchetta".
Tale fenomeno si verifica perché quest'anno c'è una particolare combinazione dell'inclinazione dell'eclittica sull'orizzonte e la latitudine eclitticale della Luna, in base alla quale la direttrice Sole-Luna interseca l'orizzonte a 90 gradi circa. Nella tradizione popolare, come è noto, la Luna diventa un punto di riferimento per fare alcune previsioni sul futuro. In un anno come questo, che sempre in base alle superstizioni non è favorevole in quanto bisestile, un bel sorriso della Luna non può che portare bene.
Non nominare il nome di Dio in vano...

Pensiamo al sole...qui è una giornata splendida e ho appena ricevuto un sms entusiasta degli sposi pellegrini che si stanno godendo un cammino magnifico nonostante il male alle spalle per zaini pesanti...invernali... che...Dio li benedica! (Uso non blasfemo del nome di Dio...o no?)
"...Comunque, qualunque sia il suo livello, la blasfemia è la bugia delle bugie perché è l’uso del sacro per nascondere il profano; dell’apparente purezza per coprire la colpa; di ciò che è nobile per coprire l’ignobile, del bello per nascondere l’orribile; di ciò che è santo per mascherare la depravazione. E’ contemporaneamente una pretesa di pietas e il volontario uso della stessa come finzione. Mentre tutto il mentire è mancanza di integrità, la blasfemia rappresenta la forma più perversa di mancanza di integrità. Il suo meccanismo è quel trucco psicologico che abbiamo chiamato compartimentalizzazione.
Vi è qualcosa di veramente diabolico nella blasfemia. La parola “diabolico” deriva dalla parola greca diabolein che significa “buttare, scagliare via” il cui opposto, sempre in greco, è: sym-bolein “gettare per mettere insieme.” In un modo molto reale, “simbolico” si riferisce all’integrare e “diabolico” al compartimentalizzare. E’ anche importante ricordare che la blasfemia richiede sempre un comportamento conseguente. Una persona che occasionalmente ha pensieri profani ma che non agisce di conseguenza non è un individuo blasfemo, lo è invece chi traduce in parole pensieri santi ma che agisce in modo profano. La blasfemia è la forma di compartimentalizzazione che permette l’istaurarsi dell’abitudine a professare la verità mentre, sempre d’abitudine, si mette in atto la bugia.
Così abbiamo chiuso il cerchio. Ogni forma di comportamento che è originato dalla mancanza di integrazione, che rappresenta la compartimentalizzazione, è blasfemia. L’ “uomo d’affari che va in chiesa la domenica mattina, che crede di amare Dio e la Creazione di Dio e i suoi fratelli esseri umani e poi, il lunedì, non si crea nessun problema per le politiche della sua azienda che scarica rifiuti tossici nel vicino torrente” - che è un “cristiano della domenica mattina” - è colpevole di blasfemia. Indipendentemente dalla sua intensità e se la cosa sia cosciente e deliberata, questa compartimentalizzazione della religione è invariabilmente blasfema.
E “il fatto che questo Paese, sulla cui moneta sono scritte le parole: ‘In Dio confidiamo’, sia il Paese leader per la produzione di armamenti e per la loro vendita in tutto il mondo” vuole dire che siamo una nazione profondamente blasfema..."
Se queste parole le applichiamo a tutto...e specialmente a ciò che ha fatto il "suo mestiere" parlare di Dio, capite bene che...(finite voi la frase!) io non posso...sono diabolica...
che giornata!! ...il terzo capodanno

martedì 21 febbraio 2012
i nuovi sposi, pellegrini invernali!
lunedì 20 febbraio 2012
un concerto da non mancare a Vicenza!
L'ensamble Simachà"

e chi c'era ricorda un concerto fantastico e coinvolgente.
Ora, e sempre per un buon fine, suoneranno ancora insieme nella loro città, all'Oratorio dei Filippini, a Vicenza a cui ho ricordi attaccati...i Filippini diedero la prima sede dell'Università per cui lavoravo.
Beh non credo che ci potrò andare, ma voi che vivete in Veneto non perdetevelo, sarà una gran bella serata!
Grazie Erika e amici cari per quello che fate!
Altro argomento...è arrivata una piccola trance della nuova legna...bagnata, e ti pareva? Mi sa che sta storia me la trascinerò fino alla caldissima estate assisana...ora vado a far posto alla nuova legna perchè la vecchia cattiva il legnaiolo non se la porta via...uffa che barba!
domenica 19 febbraio 2012
La Verna con la neve




la casa internazionale
sabato 18 febbraio 2012
la sapienza della nonna...le sfrappole!
Evviva l'arte!!!


Così oggi è la festa del Beato Angelico, protettore degli artisti, sommo vertice del più bel rinascimento fiorentino, di quell'inizio di grande fioritura che, essendo vertice, è già l'inizio della discesa. Quando vado a Firenze, se ho tempo, vado sempre al Convento di San Marco con le sue bellissime cellette dipinte dal Beato: una conosciuta perla della città ma non così tanto come gli Ufizi o Pitti che, invece per me, è spettacolare proprio perchè le sue opere non sono trasportabili, sono affreschi unici e irripetibili nel luogo in cui sono stati pensati a beneficio del frate che in quella cella dormiva. E poi c'è quell'annunciazione superba con la madonnina esile ed elegante, modernissima, una forma racchiusa nel manto...io gli parlo al Beato Angelico quando sono lì, lo ringrazio per tutta la bellezza che mi regala...in fondo, materialmente, sono solo strisciate di pennello di poveri colori, nulla di prezioso materialmente, ma puro gioiello che emoziona a distanza di secoli...
allora a voi che siete artisti, e anche a me che sono solo artistica per aver studiato arte ma senza la pretesa di essere un'artista, buona giornata della bellezza...nella speranza che il Paradiso sia come l'ha dipinto lui...Swidenborg che parlava con un angelo e che fu "trasportato" in Paradiso in vita diceva che gli angeli del Beato Angelico sono la pallida bellezza, l'immagine sfuocata di come sono veramente ma che lui ci si era abbastanza avvicinato...pensate che bellezza!!
dai "Santi del giorno"
Questa soave e genialissima figura di Frate Predicatore fu un dono magnifico fatto da Dio all’Ordine. Guido o Guidolino, figlio di Pietro, nacque a Vicchio di Mugello in Toscana alla fine del XIV° secolo e fin da giovane fu pittore in Firenze. Quando sentì la vocazione, insieme al fratello Benedetto, si presentò al convento domenicano di Fiesole. Ordinato sacerdote assunse il nome di Fra Giovanni da Fiesole, ma subito dopo la sua morte fu usanza comune chiamarlo “Beato Angelico”. L’azione di santo e di artista del giovane si svolse mirabilmente nel clima di alta perfezione spirituale e intellettuale trovato nel chiostro. Le sante austerità, gli studi profondi, la perenne elevazione dell’anima a Dio, affinarono il suo spirito e gli aprirono orizzonti sconfinati. Così preparato, da buon Frate Predicatore, poté anch’egli dare agli altri il frutto della propria contemplazione e dar vita, col suo magico pennello, al più sacro dei poemi, narrando ai fratelli la divina storia della nostra salvezza. I suoi Crocifissi, le sue Madonne, i suoi Santi sono una predica che risuona nei secoli. Anima di una semplicità evangelica, seppe vivere col cuore in cielo, pur consacrandosi a un intenso lavoro. Sue sono molte pale d’altare a Fiesole (1425-1438) e le celle, i corridoi, l’aula capitolare e i chiostri del Convento di San Marco a Firenze (1439-1445). Recatosi a Roma, su invito di Papa Eugenio IV, dipinse nella Basilica di San Pietro e nei Palazzi Vaticani, e dal 1445 al 1449, per Papa Niccolò V la sua cappella privata e lo studio in Vaticano. Il Papa gli offrì la Sede Vescovile di Firenze, che energicamente rifiutò, persuadendo il Pontefice a nominare il confratello Sant’Antonino. Fu da Dio chiamato al premio eterno il 18 febbraio 1455 a Roma, nel convento di Santa Maria sopra Minerva, dove il suo corpo è ancora conservato nella attigua Basilica Domenicana. A suo onore, e per la promozione dell’arte sacra, Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 1982 ha concesso il suo culto liturgico a tutto l’Ordine e il 18 febbraio 1984 lo ha proclamato Patrono Universale degli Artisti.
Franco Mariani
venerdì 17 febbraio 2012
la giornata mondiale del gatto...nero
ps. Romeo assomiglia proprio al mio "leone" Damiao, chissà se tutti i graffi che ha sempre addosso sono perchè fa il filo ad una bella Duchessa?!
No agli F35 !!!

Ai sostenitori dell'appello di padre Alex Zanotelli
di La Redazione del sito www.ildialogo.org
Caro amico, cara amica che hai sottoscritto l'appello di Alex Zanotelli sulle spese militari (vedi qui). Oggi ti chiediamo di fare un passo in più sostenendo anche la campagna "Taglia le ali alle armi!" promossa da Rete Disarmo, Sbilanciamoci e Tavola della Pace per contrastare l'acquisto del caccia Joint Strike Fighter.
15 miliardi di euro per i cacciabombardieri F-35, prima della riduzione prevista dal Ministro. Ma saranno ancora un sacco di soldi spesi male.
A cui occorre rispondere con un "terremoto" di indignazione, un coro di proteste. É quello che la società civile è chiamata, ora più che mai, ad esprimere visto che il Governo sembra deciso a non cambiare idea sul "Programma pluriennale relativo all'acquisizione del sistema d'arma Joint Strike Fighter JSF", il faraonico progetto di aereo militare (il più costoso della storia) a cui partecipa anche l'Italia. Forse non compreremo più 131 cacciabombardieri JSF completi di relativi equipaggiamenti, supporto logistico e basi operative come inizialmente previsto. Ma anche 90 sono tanti: sono 90 di troppo. Anche uno solo equivale a 180 asili nido E con l'ovvia crescita del costo per singolo aereo anche questo taglio ci potrebbe fare spendere (solo per la fattura) almeno 12 miliardi.
In un momento di tagli agli stipendi, alla sanità, alla scuola, al supporto per il lavoro….occorre eliminare del tutto le spese per gli armamenti che servono solo a produrre lutti e distruzioni di cui l'umanità non ha più bisogno.
Qui di seguito trovi quanto costa un singolo aereo e cosa ci si potrebbe fare in alternativa con tutti quei soldi
...io credo a gli inizi...

Intorno al 1233, mentre Firenze era sconvolta da lotte fratricide, sette mercanti, membri di una compagnia laica di fedeli devoti della beata Vergine, legati tra loro dell’ideale evangelico della comunione fraterna e del servizio ai poveri, decisero di ritirarsi in solitudine per far vita comune nella penitenza e nella contemplazione. Abbandonata l’attività commerciale, lasciarono le proprie case e distribuirono i beni ai poveri. Verso il 1245 si ritirarono sul Monte Senario, nei pressi di Firenze, dove costruirono una piccola dimora e un oratorio dedicato a santa Maria. Conducevano vita austera e solitaria, non ricusando tuttavia l’incontro con le persone che, spinte dal dubbio e dall’angoscia, cercavano il conforto della loro parola.
Diffondendosi sempre più la fama della loro santità, molti chiedevano di far parte della loro famiglia. Pertanto essi decisero did are inizio ad un Ordine dedicato alla Vergine, di cui si dissero Servi - l’Ordine dei Servi di Maria -, adottando la Regola di sant’Agostino.
Nel 1888 Leone XIII canonizzò insieme i sette primi Padri. A Monte Senario un unico sepolcro raccoglie insieme le spoglie mortali di coloro che la comunione di vita aveva resi un cuor solo e un’anima sola.
SAN BONFIGLIO
Padre e guida del gruppo laico e poi Priore della nascente comunità dei Servi di Maria.
Viene raffigurato con la colomba bianca che si posa
sulla sua spalla destra, per indicare quei doni dello Spirito Santo di cui ciascuno dei Sette era adornato, maggiormente manifestato in lui per il suo carisma di Padre del primo gruppo e della comunità poi. Morì, secondo la tradizione, il 1° gennaio 1262.
SAN BONAGIUNTA
Uomo austero verso se stesso, ma dolce, amabile e comprensivo verso il prossimo. Anch’egli ricoprì la carica di Priore Generale tra il 1256 e il 1257. Per la sua tenacia difesa della verità e della giustizia, cercarono di avvelenarlo, ma fu liberato da Dio. Morì il 31 agosto 1267.
SAN MANETTO
Anch’egli Priore Generale, fu uomo di grandi capacità organizzative e direttive, tanto che si attribuiscono a lui le prime fondazioni in terra di Francia. Fu lui ad accogliere Arrigo di Baldovino, primo di quella schiera di laici che si aggregò all’Ordine dei Servi. La tradizione pone il giorno della sua morte il 20 agosto 1268.
SANT’AMADIO
Possiamo dire che nel gruppo dei Sette egli era come la fiamma che dava calore a tutti con la sua grande carità che si alimentava dell’amore di Dio. Il suo nome, Ama-Dio, fu un vero presagio, segno della ricchezza della sua vita spirituale e di carità. Morì il 18 aprile 1266.
SAN SOSTEGNO E SANT’UGUCCIONE
Di questi due Santi si ricorda in particolare la loro amicizia, tanto che l’iconografia li rappresenta insieme, e la morte, avvenuta per ambedue lo stesso giorno e anno ( 3 maggio 1282) è come un segno e un sigillo di autenticità del cielo alla loro fraternità.
Nel gruppo dei Sette, essi rimangono dunque come simbolo di fraternità vissuta in comunione di vita e di intenti, ma anche come segno specifico di amicizia che, se vera e gratuita, da Dio è ispirata e reciprocamente aiuta a salire a Dio.
SANT’ALESSIO
Della famiglia dei Falconieri, zio di Santa Giuliana, esempio fulgido di umiltà e purezza. La sua vita fu una continua lode a Dio. Amava andare per la questua, impegnandosi specialmente a sostenere i suoi frati mandati a studiare alla Sorbona di Parigi. È morto all’età di 110 anni il 17 febbraio 1310.
4 novembre ‘05
LE MANI NELLA TERRA
E’ fredda, bagnata, quasi vischiosa. Affondo le dita nel fango in questo crepuscolo già avvolto di buio. Non ho mai messo le mani nella terra smossa di una tomba, non ho il culto dei morti. A sette anni di fronte al viso giovane di un papà morto troppo presto che mi sorrideva da una lapide, mi trovai a pensare:
“facciamolo questo gioco che piace tanto ai grandi, facciamo finta che papà sia lì, tanto non è così, è un gioco.”
Da allora i cimiteri sono per me un parcheggio abbastanza lugubre e molto finto di corpi in decomposizione, in cui chi “crede” nella resurrezione si inventa ogni sorta di immagine di disperazione.
I miei morti sono altrove, quelli più amati sono sempre con me, attorno a me.
Sta sera è diverso, sta sera affondo le mani nella terra che è Giovanni Vannucci, che non lo ricopre, che è lui ed è come se lo accarezzassi. E’ un vero contatto fisico con chi non ho conosciuto in vita ma che mi parla attraverso i suoi libri, per mezzo degli scritti che mi arrivano chissà perché via internet, che amici mi mettono in mano e che a mia volta passo all’amico caro come si passa un tesoro prezioso.
“Se rimani anche domani, la sera si potrebbe andare a meditare a Monte Senario, lo si fa ogni mercoledì.”
E’ Giovanna a farmi la proposta con il suo simpatico e sincero accento fiorentino e l’idea mi pare così bella che non ho dubbi; è cosa fatta. Ma non è tanto la meditazione con gli amici che mi attira è il luogo perché lì è sepolto Padre Giovanni e voglio andare a trovarlo. Lui avrebbe voluto essere sepolto nel verde cupo della forra dove si nasconde Le Stinche, il suo eremo, voleva essere sepolto ai piedi dell’immenso albero che sovrasta benedicente il tetto della chiesina, non fu così e me lo immagino in un anonimo e freddo cimitero tutto marmi e fra questo biancore immagino me con una pianticella in mano, qualcosa che sappia di muschio e di rigagnoli d’acqua, qualcosa che abbia l’odore dei boschi e della terra viva.
Frà Luis pare uscito da un antico dipinto bisognoso di restauri, abbandonato in una sacrestia impregnata di odore di muffa e di incenso. Magro, occhi neri che a volte mandano fiamme e poi si placano; uno sguardo un po’ febbricitante. Si muove veloce facendo svolazzare il saio nero che pare troppo grande, quasi appoggiato sulle ossa. E’ lui che ha cercato Giovanna per meditare con il gruppetto che si trova all’ora di pranzo a Firenze ed ora è lui che conduce la meditazione settimanale nella cripta del suo convento. Ci conosciamo nella libreria dove mi sono subito messa alla caccia dei libri che mi mancano. Ho in mano un vasetto di ciclamini bianchi ed è la prima cosa di cui parliamo perché sono belli e sono dedicati. Io lo so ma credo che lui lo senta perché ciò che è dedicato non appartiene più a chi lo dedica ha acquistato una leggerezza nuova, un marchio invisibile che solo occhi lucidi come i suoi possono vedere.
“Sono per Padre Giovanni.” E mentre lo dico mi accorgo che ho le mani piene di lui: Nella sinistra i suoi scritti, nella destra i suoi ciclamini.
“Se mi aspettate vado a prendere la chiave e vengo con voi al cimitero”
E’ così dolce guardare il tramonto con Giovanna e Marisa, con le amiche con cui si è condiviso il silenzio. Forse un giorno la scienza lo spiegherà, forse un giorno sapremo se è “oggettivamente” così ma è certo, è certo per me che il silenzio condiviso è la più grande delle unioni. Nel silenzio le “mie” cellule non sono più mie, come i ciclamini, sono dedicate, sono libere di espandersi, di fondersi, di unirsi a quelle di coloro che lasciano libere le proprie e, a volte per brevi attimi, si è un solo corpo, si è una sola energia e dopo non si è più gli stessi. Fra il prima e il dopo c’è stato quell’attimo di fusione così come due che hanno veramente fatto l’amore insieme e il “fare” e l’essere l’amore sono divenuti la stessa cosa, non saranno mai più quelli che erano prima.
La luce sta svanendo velocemente, Luis riemerge dal convento macchia nera sulla scura parete. Scendiamo veloci lungo la stradetta che si incunea nel bosco di abeti scuri. Il convento massiccio e incombente è stato inghiottito dalle chiome profumate degli alberi, nell’ultima luce in una piccola radura appare il cimiterino. Non è bianco e anonimo, non è freddo come nella mia immaginazione, è dolce e raccolto. La chiave apre il cancelletto cigolante, la prima croce è la sua, sul ferro nero dai sobri ricci solo il suo nome. Altre mani hanno piantato fiori gialli e bianchi sull’allungato mucchietto di terra ma proprio fra due piantine c’è un piccolo, unico spazio grande come il ciclamino. Sorrido al pensiero del piccolo miracolo, per quella dolcissima piccola puntualità. Luis inizia una preghiera, io ho le mani piene di terra che mi pendono ai lati. Ripeto con gli altri le parole antiche ma la mia preghiera sono quelle mani sporche di terra. Le ho affondate nella carne della Terra, le ho immerse in qualcosa di vivo e pulsante. Ho toccato il silenzio sorridente di una grande anima e non ho più bisogno di parole. Siamo ancora lì gli occhi persi fra i fiori gialli che debolmente illuminano la terra scura quando arriva un cane, a breve distanza il padrone ma sulle prime non lo vediamo. Annusa la tomba, pare inchinarsi. Chi ha conosciuto Padre Giovanni racconta dei suoi bastardini dai nomi biblici che lo seguivano dappertutto e che dormivano con lui, un altro cane è qui sta sera per lui. Il bosco, i fiori, l’odore di muschio, la sera che è già; tutto è per lui, tutto lui ci dona.
Vado via contenta, lo so in buone mani, non sotto il grande albero delle Stinche ma comunque in un bosco e questo mi consola, io che non credo nei cimiteri sta sera sono contenta come una mamma che ha lasciato il suo bambino nella scuola giusta. Usciamo, mi volto e gli sorrido.
“Ciao Giovanni, grazie.”