Mi sa che a pezzi vi sto facendo leggere il libro che sto traducendo...forse non è molto corretto ma sto libro mi intriga e allora lo condivido con voi. Il capitolo, ora, è quello del "Trascendere la cultura" e, rifacendosi ai vari livelli di crescita spirituale, l'autore ora parla di come uno, poi, esca anche dalla sua cultura d'origine...perda le radici, e di come voltarsi indietro, a volte, sia sofferente e causa di un misto di tristezza e felicità...
Mi ci sono ritrovata ed è per questo che la foto è quella di Piazza del Popolo a Ravenna "teatro di una lunga fetta della prima parte della mia vita." Il palazzo comunale dove mio papà aveva il suo ufficio da assessore e dove io, piccolissima, davo mazzi di fiori a gli ospiti. Il bar dove per 50 lire comperavo il gelato sempre di crema e nocciola (alla fine sono ancora i gusti che amo di più). Le "vasche" su e giù anche nella nebbia per incontrare i ragazzi da adolescente, le lunghe annoiate sere al caffè, di quel "aspettando
Godot" come lo chiamo io, di un'intera generazione di sessantottini che voleva scappare dalla provincia ma non ce la facevano e che si incontravano per mangiare un gelato in piazza e fumarsi uno spinello di nascosto, per alleviare la depressione e la noia di chi vorrebbe cambiare sé stesso e il mondo e non ce la fa. Io e forse altri di cui non so, ce l'ho fatta a scappare, allora fui vista come una pazza che abbandonava il lavoro sicuro per andare a...pulire pavimenti in Inghilterra...e dopo il primo salto, ne ho fatti tanti altri, ma il primo è sempre il decisivo, le radici si tagliano con una paura boia, ricordo il terrore che mi fece Londra dall'alto dell'aereo, immensa, tutto quel mare di luci, una sconosciuta immensità piena di gente che parlava una lingua di cui non sapevo manco una parola...ma indietro non tornavo, dietro di me c'era solo..."l'aspettando Godot". Sono tornata a Ravenna qualche anno fa per presentare la guida, ci sono andata con grande aspettativa accolta da amici che mi hanno fatto "sentire a casa" ma io, a casa, non c'ero più e ogni muro mi ricordava qualche cosa, ogni volto invecchiato come il mio, era legato ad un tempo e, nonostante l'affetto degli amici, non vedevo l'ora di scapparmene via con quel misto di tristezza e gioia che Scott Peck descrive così bene. A tutti piacque molto la mia presentazione...a tutti fuorchè a me...è stata la presentazione più sofferta della mia vita, nella penombra vedevo volti conosciuti, persone che avevano continuato a coltivare la loro radice, nel bene e nel male lì, mentre io la radice non l'avevo più, nel bene e nel male divenuta cittadina del mondo. A volte, nei momenti difficili e di scelte capitali della mia vita ho invidiato chi ha radici, a volte mi sono domandata: "ma non sarebbe stato meglio avere una famiglia, un marito geometra, (non ho niente contro i geometri è il mio modo di creare immagini evocative per me), un mutuo, le ferie assicurate magari nella valle alpina dove tutti i ravennati sono sempre andati, il ferragosto con le braciolate a Marina di Ravenna, le partite di Majong a casa degli amici, il libri acquistati nella libreria alternativa e magari pure lo spinello degli ex sessantottini...magari loro sono felici, magari avere radici è meglio..." ma non è la mia vita e, in realtà, là io ero profondamente infelice, mi sentivo un alien e, in giro per il mondo e senza radici, sono felice, veramente felice. In questo non c'è nessun giudizio, non giudico chi ha radici solide e non dico che la mia sia una vita migliore, ma è la mia e...non si torna indietro, si può solo andare avanti. Non me ne vogliano i ravennati che magari leggono questo post, questa è la storia di tutti i senza radici, che si parli di un paesino del profondo sud dell'America, o di una cittadina del nord d'Italia, è una scelta di vita. Sono cresciuta, non mi sento più sola, posso essere sola e non sentirmi sola, le fasi le ho tutte passate...e ora c'è solo il presente e il futuro ovunque il presente o il futuro possano essere. Casa sono io e dove devo essere.
...Nessuno di noi tornerebbe indietro, anche se potesse ma, qualche volte viviamo una certa tristezza che si insinua in noi, come perenni pellegrini "non possiamo tornare nuovamente a casa.” Come accadde al mio caro collega Ralph; mio paziente e amico.
Ralph ha compiuto l’intero viaggio, nato in povertà a Appalacha, compì il suo passaggio dal primo Stadio al Secondo nella sua tarda adolescenza divenendo un predicatore fondamentalista del sud. In risposta alle battaglie per i diritti civili e a quelle contro la guerra in Vietnam degli anni ’60, iniziò il suo laborioso processo di messa in discussione di ogni suo valore e la grazia lo sostenne permettendogli di crescere in amore e raffinatezza intellettuale. Ora è un uomo di grande santità e potere spirituale ed ha avuto l’opportunità di ritornare alle sue origini a Appalacha. Una sua nipote era stata scelta fra tanti licei ed eletta una delle sei reginette per un grande corteo. In un determinato momento di questo evento, ogni nuova reginetta doveva ricevere una rosa da suo padre e, dato che lei aveva perso suo padre in un incidente sul lavoro nella loro fattoria, lei aveva chiesto che suo zio Ralph ne prendesse le veci. A Ralph la cosa piacque e così prese un aereo e se ne tornò a Appalacha per la cerimonia. Quando incontrai Ralph dopo questo suo ritorno a casa, lui mi descrisse l’evento con grande dovizia di dettagli. Con l’occhio attento e indagatore dell’antropologo culturale, mi raccontò che nel momento centrale dell’evento; ognuna delle nuove sei reginette era vestita con lo stesso vestito ma di colore differente e questo accadeva a metà della cerimonia. Ognuna di loro, seduta in una Chevrolet Impala convertibile del colore del vestito, compiva il giro del campo da football quattro volte, poi vi erano altre cerimonie e ogni reginetta dovette cambiare vestito quattro volte, sia durante il pomeriggio che alla sera. Ralph mi raccontò come una matrona supervisionasse con efficienza teutonica questo cambio di abiti che avveniva negli spogliatoi del campo da gioco e che tutto fosse stato organizzato in dettaglio nei mesi precedenti. Mentre lui mi descriveva questa sorta di liturgia, me ne stavo incantato ad ascoltare con quanto umorismo e patos e ricchezza di particolari lui riuscisse a dipingere la scena. Ma quando lui finì il racconto di questo suo weekend là, improvvisamente Ralph cambiò registro e mi disse: “Per qualche ragione, però, mi sono sentito depresso da quando sono ripartito e la cosa è persino cominciata ad accadere quando ero ancora nell’aeroplano.”
“La tristezza e la depressione sono assai contigue” commentai “ma sento che tu sei più triste che depresso.”
“Hai ragione.” Esclamò Ralph “Quello che provo è tristezza ma non capisco perché, Non ho nessuna ragione per sentirmi triste.”
“Certo che ce l’hai” replicai.
“Davvero? Perché dovrei sentirmi triste?”
“Perché tu hai perso la tua casa.”
L’espressione di Ralph era meravigliata e perplessa e mi disse: “Scusa, ma non credo di capire.”
“Hai appena finito di descrivere un elaborato rituale della cultura di Appalancha con tutta l’obbiettività e la grandezza di un antropologo e non c’è modo che tu lo potessi fare se appartenessi ancora a quella cultura. Tu ti sei separato da essa, dalle tue radici. Questo è quello che intendo quando dico che hai perduto la tua casa. Mi sa che questo viaggio a ritroso ti abbia reso cosciente del viaggio di anni luce che hai compiuto andando oltre quel luogo.”
Una lacrima iniziò a scendere sulla guancia di Ralph: “Hai messo il dito nella piaga” ammise “ la cosa buffa è che, assieme alla tristezza, sento una certa gioia. Sono felice di essere tornato qui da mia moglie, da te e dai miei pazienti. Non ho provato nessun desiderio di rimanere là. Ora appartengo a qui dove sono. Ma questa non è l’appartenenza semplice e inconscia che si vivono le persone laggiù. Rimpiango una certa perduta semplicità e innocenza ma so anche che non è una santa innocenza. Loro hanno in sé molto più dolore e pena che non mostrano, molto peggiore della mia. Ma non devono preoccuparsi per l’intero mondo.”***
venerdì 10 febbraio 2012
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