sabato 4 febbraio 2012

le favolette invernali...

quella che avevo in mente non l'ho trovata, a dire il vero non ricordo se era solo un abbozzo mai terminato ma, in compenso, ne ho trovate due scritte nella prima casa dove ho abitato a San Martino di Castrozza. Era in cima al paese e la mia camera da letto aveva una grande porta finestra, l'intera parete, che guardava il bosco, ero nel bosco e sentivo il ruscello gorgogliare la fuori. Le cince, degli uccellini splendidi, venivano sempre a becchettare le briciole che mettevo sul sentierino che portava al ruscello e, un inverno, misi lì la carta che sta sotto al panettone ancora ricoperta di briciole...la fecero pulitissima! Questa favoletta è dedicata ad una di loro. Mentre "Scintilla" è nata in un giorno di sole in cui la neve brillava come se fosse stata coperta di diamanti...sigh che nostalgia!





CINCIA CICCIA DAL CIUFFO NERO

Cincia Ciccia dal ciuffo nero era l'ultima nata di una grande covata, la sua mamma si era a lungo dedicata a ben quattordici uova che aveva deposto in un buchetto in un vecchio tronco di abete. Tutte e quattordici le uova si erano schiuse all'inizio della primavera, che qui su in montagna coincide con il tepore del sole di maggio. Mamma cincia dopo aver svezzato questi suoi primi piccoli li aveva mandati nel mondo per poi deporre altre uova e dedicarsi a loro. Cincia Ciccia era stata l'ultima a vedere la luce di questa prima covata quando i suoi fratellini erano già a becco aperto in attesa di essere sfamati dall'indaffaratissima mamma. Lei, come i fratelli e le sorelle, non aveva un nome, non sapeva di essere una cincia ma un giorno mentre azzardava i primi voletti era passata vicino al ponticello sulla cascata proprio quando vi transitavano un guardia parco e un bambino, in quel breve attimo prima di fuggire nuovamente verso il bosco, l'uccellino aveva udito l'uomo dire al bimbo puntando un dito verso di lei:
"guarda una cincia dal ciuffo!"
Ciccia era piccola, non parlava ancora bene e giunta dalla mamma tutta orgogliosa perché aveva un nome, quasi senza fiato le aveva detto con i suoi piccoli "tsi tsi tsi": "Mamma, mamma mi chiamo Ciccia dal Ciuffo!"
Così quel buffo nome le era rimasto appiccicato addosso e i fratellini la canzonavano saltandole attorno ripetendo: "tsi tsi tsi" che nella loro lingua vuol dire:
" Ciccia, Ciccia, si chiama Ciccia"
Cincia Ciccia era a dire il vero piuttosto cicciotella e tonda ancora più fatta a palletta di tutte le altri cince che paiono batuffolini con il bavaglino nero e il ciuffetto diritto in testa come la penna degli alpini.
A Cincia Ciccia non le importava molto di tutti quegli sberleffi dei fratelli, era convita di essere la sola della famiglia ad avere un nome ed era così fiera di quella sua particolarità che andava in giro fra abete e abete ripetendo a chiunque incontrava:
"Buon giorno signora emmm….., io sono Ciccia dal Ciuffo, lei come si chiama?"
La ghiandaia, la nocciolaia, il corvo, insomma tutte le piccole creature che lei apostrofava, rimanevano interdette perché non avevano mai pensato che fosse importante avere un nome e se ne andavo senza risponderle imbarazzate da quella loro mancanza di identità che la cincia aveva messo in luce con la sua domanda.
Povera Cincia Ciccia! Ben presto nessuno volle più parlare con lei, non perché fosse antipatica, anzi, le cince sono amate da tutte le creature del bosco, sono così allegre, cinguettanti, leggere, fanno divertire tutti aggrappandosi a testa in giù ai rametti più esili degli alberi e dei cespugli, ma Cincia Ciccia con quella sua ingenua curiosità le aveva fatte sentire insignificanti quasi che il loro esistere dipendesse dall'avere un nome.
Cincia Ciccia volava da sola, sempre più sola mentre trascorreva la breve estate montana; il bosco era così bello, i tronchi così ricchi di insettini da spiluccare che Cincia Ciccia non si accorse del vuoto che si era creato attorno a lei. Quando il freddo arrivò la mamma e i tanti fratelli si trasferirono da qualche altra parte del bosco e anche gli altri uccelli emigrarono sui versanti più caldi della montagna. Ciccia arruffava le piume per sentirsi più calda e volava silenziosa nelle ultime fredde giornate di sole di novembre. Non aveva più voglia di lanciare i suoi leggeri "tsi, tsi" a che scopo? Solo il vento pareva risponderle ma parlava una lingua che lei non comprendeva e poi era così gelato, le scompigliava tutte le penne pareva solo volerle fare del male, lei non sapeva che l'inverno stava arrivando, nessuno l'aveva avvertita e la prima neve la colse del tutto impreparata.
Fioccava lentamente, il bosco ben presto divenne tutto bianco, Ciccia immerse la sua testolina fra le penne del collo divenendo ancora più tonda ma le zampine restavano scoperte. A fatica sbattendo le ali gelate volò al suo antico nido, quello in cui era stata felice con i tanti fratelli, ora era deserto, in disordine, freddo ma almeno lì la neve non entrava.
Il giorno seguente, approfittando di una schiarita che aveva permesso al sole di farsi strada fra i rami del bosco, Cincia Ciccia volò fuori dal riparo alla ricerca di cibo, aveva tanta fame ma tutto era coperto da quella strana cosa bianca e fredda, anche il torrente che le era stato sempre amico pareva aver cambiato voce.
Lui nei giorni in cui Ciccia aveva percorso il bosco ripetendo la sua domanda curiosa e ossessiva era stato il solo a risponderle perché era vecchio e da tanto sapeva di chiamarsi Torrente; così tanti umani si erano seduti sulla sua riva e a giocare fra i suoi sassi con i loro cuccioli e tante volte aveva udito le mamme dire:
"stai attento a non cadere nel torrente, ti bagnerai, è freddo!"
"Tsi, tsi tsi" fece la cincia:
"Signor torrente, signor torrente che è successo al bosco? Perché è tutto bianco? Perché anche lei non canta più con la sua voce allegra?"
Il torrente sorrideva scorrendo con scintillii e gorgoglii fra i sassi trasformati in panettoni di neve, poi le rispose:
"Piccola Ciccia, questo è l'inverno e questa cosa bianca che tutto ricopre e che frena la mia corsa è la neve, non te lo hanno detto gli altri uccelli del bosco che sarebbe arrivata?"
"No, non so nulla, nessuno parla con me, che si fa d'inverno? Che si mangia quando gli insettini che mi piacciono tanto paiono essere scomparsi?"
"Non lo so piccolina" Rispose il torrente.
"Io non ho di questi problemi, non posso aiutarti"
Poi il torrente si ricordò di avermi visto scendere la sua riva per depositare delle bricioline, la polenta avanzata, qualche crosta di formaggio su un sasso piatto che pareva una tavola per gli animaletti del bosco. Cincia Ciccia stava già volando sconsolata e a pancia vuota verso il vecchio nido gelato quando il torrente la richiamò con un gorgoglio più forte:
"Ciccia dal Ciuffo, torna indietro mi è venuta un'idea! Vieni qui che te la dico!"
Cincia Ciccia con un frullio di ali raggiunse il rivo posandosi su un sasso che l'acqua aveva liberato dalla neve.
"Ciccia" le sussurrò il torrente:
" in quella casetta in cima alla mia riva vive una umana che fa strane cose, tutti i giorni scende fra la neve e deposita qualcosa su un sasso, mi sembra una persona buona e so che ama il bosco perché non lo sporca, non spezza i rami degli alberi e sta ben attenta a camminare solo sui sentieri per non schiacciare i funghi e le piantine del sottobosco , vola da lei, ma sta attenta che ha con se due grosse gatte molto curiose e veloci"
Ciccia sentì a mala pena le ultime parole di avvertimento del torrente, aveva così tanta fame e poi prudente lo era di natura.
E' così che ogni giorno Cincia Ciccia si posa vicino alla porta finestra della mia camera da letto, mi guarda e aspetta, ora è più tonda che mai ed è pure un poco viziata perché disdegna il cibo da cince preferendo il panettone…ma passerà l'inverno e chissà che la prossima primavera non nascano altre quattordici Cince Cicce come lei.


SCINTILLA

Stretto stretto ai suoi piccoli compagni di viaggio, Scintilla scalpitava nel seno morbido di una nuvola. Era la sua casa, lì era nato in una notte fredda e ora fremeva dal desiderio di lasciarla per compiere il suo destino. Sapeva che il momento di lanciarsi nel vuoto sarebbe arrivato e nell'attesa era impaziente.
La nuvola abbracciava maternamente quei suoi piccoli figli ninnandoli nel suo lento dondolio da vetta a vetta. Lei sapeva che non era ancora giunto il tempo di lasciarli andare. Laggiù la valle si cullava nel sole e la neve, solo sulle cime, si era già fatta dura e vetrosa, ghermita dal signore dei ghiacci che aveva catturato senza pietà i fiocchi che ingenui e incauti erano volati in alto, troppo in alto.
La nuvola aspettava, dicembre stava per finire e il piccolo paese di montagna si stava riempiendo di macchine cariche di colorate assi sagomate con cui gli uomini provano l'ebbrezza della velocità e godono del vento e del sole.
La nuvola aspettava, scivolando lieve su quei cosi curiosi, i "cannoni", che sparavano acqua gelata fatta a forma di neve. Lei se la rideva, sapeva bene che la neve è un'altra cosa e che quella polvere bianca vomitata rumorosamente dai cannoni stava alla neve come un frutto maturo colto dall'albero sta a una macedonia in scatola.
I fiocchi fremevano, Scintilla più di tutti: "Ma perché non ci apre le porte, perché non ci lascia andare?, E' inverno, la nostra stagione, e io non ne posso più di vivere nella bambagia!"
Scintilla a prima vista pareva uguale a Fiocco, Brillio, Bianchino e a Flake, il fratello straniero capitato chissà come nella nuvola dolomitica, forse ad occhio nudo poteva sembrare uguale ma se l'aveste messo sotto la lente di un microscopio avreste potuto notare che nella sua forma stellare, proprio al centro, batteva un cuoricino più "freddamente caldo" di quello dei suoi fratelli e questo spiegava il nome che le aveva dato l'Azzurro al momento del suo concepimento.
I giorni passavano e mamma nuvola veleggiava quieta nello spazio di cielo racchiuso fra il Cimón e la Pala di San Martino.
A valle tutti tenevano il naso puntato verso il cielo e i pochi che non lo facevano scuotevano la testa rassegnati. Nei bar gli albergatori, arrabbiati contro tutti e contro tutto ciò che non procura loro denaro, imprecavano dicendo: "E' l'effetto serra, fa troppo caldo per essere dicembre…sarà un'altra stagione…orribile" Questo non era esattamente il termine che usavano ma… tralasciamo e i cannoni rispondevano con quel loro frastuono: "Ci siamo qua noi, per Natale le piste saranno bianche." Poverini, che colpa avevano loro? Essi facevano con costanza e diligenza il loro lavoro. Ma non erano creduti da nessuno, persino quelli che li avevano piazzati nei boschi lungo il bordo delle piste non li stimavano molto e ripetevano che "la neve finta", come tutte le cose finte non è la stessa cosa di quella vera. Così i "fiocchi tecnologici" con aria triste si lanciavano come kamikaze in quel loro breve volo per finire spiaccicati, gli uni sugli altri per far contenti, se non felici, i clienti degli albergatori arrabbiati.
La vigilia di Natale era stata una bella giornata di sole, a dire il vero un poco più fredda di quelle che l'avevano preceduta, giornate radiose quasi primaverili. Gli albergatori si erano rintanati nei loro antri per gli ultimi preparativi della settimana festiva: "Non c'è neve" dicevano "ma tutto è prenotato e per ora va bene così."
La sera della vigilia si creò quella eccitazione che precede sempre gli eventi attesi. Nessuno guardava verso le vette, erano tutti troppo impegnati ad acquistare regali, a venderli e a cucinare cenoni.
Ma qualcosa di nuovo stava accadendo lassù. Le vette avevano chiamato a raccolta le nuvole e si erano nascoste dietro di loro, le stelle erano sparite e un silenzio più fondo del solito pareva essere calato sul bosco squarciato solo dal lamento dei cannoni. Fu un bambino insaccato in una tuta polare e trascinato per un braccio da una mamma frettolosa che diede il segnale: "Nevica!" I nasi si sollevarono, i cappucci vennero tirati su, furono persino aperti gli ombrelli.
Scintilla volò lieve assieme a tutti i suoi fratelli, nessun vento cattivo o pazzerellone era venuto a portare scompiglio alla loro caduta e lui ora poteva godersi il lento scendere che aveva trasformato il cielo notturno in un immenso mare di puntini chiari.
Confusa con le sorelle, la nuvola sorrideva benevola. Lei lo aveva sempre saputo che il momento fatidico del lancio, della liberazione dei figli sarebbe accaduto nella Notte Santa.
Lei era madre come la mamma di quel bambino che, nascosto da tanti falsi scintillii, veniva al mondo nudo, bianco e puro come i suoi figli; da mamma aveva voluto regalare ai cuccioli degli uomini, ai bambini, la gioia di un "Bianco Natale" facendo felici, perché no?, anche gli albergatori.
Alla messa di mezzanotte il pavimento della chiesa era un pantano di fiocchi che si erano immolati per essere presenti al grande, dolcissimo evento. Fuori i cannoni rombavano con voce più felice, i "fiocchi tecnologici" abbracciavano quelli veri ruzzolando gioiosi sulle piste, pronti ad accogliere un mostro impietoso che ben presto li avrebbe schiacciati, "battuti."
E Scintilla? A Scintilla è capitata una sorte migliore, è caduto nel giardinetto della casa in cui vivono tre bambini. Sulle prime la sua sistemazione non gli era parsa un gran ché, ma ora è molto felice. I due bambini più grandi l'hanno stretta con le loro manine pressandola contro altri fratelli per fabbricare quello che gli uomini chiamano un pupazzo di neve.
Ora è lì, fra gli occhi fatti con due mezze patate e il naso di carota di quel buffo personaggio a cui i passanti lanciano un sorriso divertito e carico di rimpianto per l'infanzia.
Lui ha una grande considerazione per la sua missione, ora attende che il sole si faccia strada fra le nuvole-mamma perché sa che quando accadrà per un breve attimo il suo piccolo cuore ghiacciato brillerà risplendente per poi sciogliersi d'amore per la terra, nell'erbetta che riconoscente lo accoglierà in quel suo ultimo viaggio.

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