sabato 16 aprile 2011

Il pellegrino, "santo dei pidocchi"

Quando stavo camminando per la prima volta verso Monte Sant'Angelo nel 2007 con Marisa, il nostro cammino coincise con una conferenza alla Cattolica di Roma sul cammino di Francesco per cui mi ero accordata in precedenza e a cui, ovviamnte, tenevo moltissimo (che mi procurò una sorta di strappo muscolare caricandomi lo zaino carico di libri per correre lungo i corridoi del Gemelli e che mi fece soffrire, poi, non poco lungo il Cammino, ma la conferenza fu bella e ritrovai lì cari amici pellegrini). Fu così che lasciai Marisa a Sulmona, presi un trenino fino a Rieti, recuperai la macchina e, carica di guida, corsi a Roma...mentre ero in viaggio Pasquale Chiaro creatore ed editore della bella, piccola casa editrice "Appunti di viaggio" a cui avevo mandato le "mie paginette scritte solo per me" mi chiamò e mi disse: "Sono interessato a pubblicarle però ci dovremmo vedere..." Fantastico! Ero alle porte di Roma e così, dopo la conferenza corsi da lui e fu deciso il libretto: "Passi che si incrociano"...l'Edizione, allora era vicino alla chiesa dove si conserva il corpo di San Benedetto Labre, non c'ero mai stata e così ci andai...stetti un pezzo seduta vicino alla sua tomba che vedete nella foto, mi sentivo in pace, lo sentivo vicino...poi entrò un prete, lo fermai e gli chiesi se fosse il parroco e lui mi disse di sì e mi chiese in modo molto diretto perchè lo volessi sapere e io gli dissi: "Sono una pellegrina, (ero vestita da trekking), vorrei sapere se ci sono libri su san Benedetto Labre...mi interessa la sua storia..." e lui mi rispose: "Se sei una pellegrina sai già tutto di Lui..."
Non so se so già tutto di lui, non so se posso capire un santo così, ma questa risposta mi piacque e così, stetti un poco ancora vicino alla tomba, salutai Benedetto e gli dissi. "Ora torno a Sulmona...poi continua a camminare...sta con noi..".
Il ritorno fu tesissimo, nevicava, non avevo catene a bordo come si richiedevano sull'autostrada ed era buio, io odio guidare di notte...pregando tutti i santi arrivai a Sulmona dove Marisa mi aspettava nel convento francescano dove il carissimo fra Carlo ci aveva accolto...mi aspettavano con la cena pronta e grandi sorrisi...un'accoglienza pellegrina di quelle che avranno scaldato il cuore di Benedetto, ne fui immensamente grata...
Grazie santo dei pidocchi! oggi è la tua festa e ti penso...
Qui sotto quello che di lui scrisse Piero Bargellini...grande anima!


In questo mondo siamo tutti pellegrini nella valle di lacrime: camminiamo sempre per la via sicura della Religione, in Fede, Speranza, Carità, Umiltà, Orazione, Pazienza e Mortificazione cristiana, per giungere alla nostra patria del Paradiso". Era questa una delle massime preferite di S. Benedetto Giuseppe Labre, che ben corrisponde alla sua testimonianza di vita. Dei 35 anni che visse, almeno 13 li passò da "pellegrino" sulla strada. A giusto titolo perciò lo si definì "il vagabondo di Dio" o anche "lo zingaro di Cristo", espressioni ben più tenere che non "santo dei pidocchi", come venne pure denominato.
Benedetto Giuseppe Labre nacque ad Amettes, presso Arras, il 26 marzo 1748, primo di 15 figli di modesti agricoltori. Fece qualche studio presso la scuola del villaggio e apprese i primi rudimenti del latino presso uno zio materno. Portato più alla vita contemplativa che al sacerdozio, sollecitò invano dai genitori il permesso di farsi trappista. Solo a diciotto anni poté fare richiesta d'ingresso alla certosa di S. Aldegonda, ma il parere dei monaci fu contrario. Stessa ripulsa ricevette dai cistercensi di Montagne in Normandia, dove giunse dopo aver percorso a piedi 60 leghe in pieno inverno. Solo sei settimane durò il suo soggiorno nella certosa di Neuville, e poco di più rimase nell'abbazia cistercense di Sept-Fons, di cui però avrebbe sempre portato la tunica e lo scapolare di novizio.
A 22 anni prese la grande decisione: il suo monastero sarebbe stato la strada, e più precisamente le strade di Roma. Nel sacco di povero pellegrino portava tutti i suoi tesori: il Nuovo Testamento, l'Imitazione di Cristo e il breviario che recitava ogni giorno; sul petto portava un crocifisso, al collo una corona e tra le mani un rosario. Mangiava appena un tozzo dì pane e qualche erba; non chiedeva la carità e, se la riceveva, si affrettava a renderne partecipi gli altri poveri, anche a rischio che il donatore, scorgendovi un gesto di scontentezza, facesse seguire alla moneta una gragnuola di bastonate (come effettivamente avvenne un giorno). Di notte riposava tra le rovine del Colosseo e le sue giornate le passava nella preghiera contemplativa e nei pellegrinaggi ai vari santuari: uno dei più cari al suo cuore fu quello di Loreto.
Morì logorato dagli stenti e dall'assoluta mancanza d'igiene il 16 aprile 1783, nel retrobottega del macellaio Zaccarelli, presso la chiesa di S. Maria dei Monti, in cui venne sepolto tra grande concorso di popolo. Venne canonizzato nel 1881 da Leone XIII.

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