venerdì 17 febbraio 2012

...io credo a gli inizi...

...e mentre i primi francescani, subito dopo la morte di Francesco già lottavano fra di loro, "la ruota del Darma", come direbbe Buddha fu girata nuovamente e 7 amici si misero insieme...7 sognatori, 7 ricercatori, che trovo carino che poi fossero canonizzati insieme a suggellare questa loro profonda fratellanza: I sette padri fondatori dei Servi di Maria...

...laici, amici che poi divennero un'Ordine ora piccolino ma che ha "prodotto" figure luminose fra cui amo particolarmente: Davide Maria Turoldo e il grandissimo Giovanni Vannucci.

Gli inizi sono sempre carichi di Spirito, di entusiasmo e, credo, si dovrebbe sempre essere all'inizio...il libro che traduco è pieno di inizi e di come mantenere lo spirito dell'inizio o avere il coraggio di far morire dignitosamente ciò che questo spirito l'ha perso e sta morendo a poco a poco, piuttosto che trascinare un carozzone che ha l'apparenza ma non più la sostanza. Si deve avere coraggio per iniziare ma, ancor più, coraggio per continuare senza perdere lo Spirito...(e quanto per questo ha sofferto Francesco!) Oggi è la festa dei 7 padri e ricopio qui quello che è scritto sui "Santi del giorno". Per me, oggi ha anche un altro "profumo d'inizio" perchè il 17 febbraio Marisa (che è terziaria dei Servi di Maria) ed io partimmo da Haifa per la nostra prima tappa pellegrina in Terra Santa, fino a San Giovanni d'Acri...e non fu casuale anche se non premeditato. Ricopio anche una mia paginetta su la mia prima visita a Monte Senario...una sorta di pellegrinaggio alla tomba dell'amico mai conosciuto: Giovanni Vannucci, paginetta che fa parte del mio libricino di paginette: "Passi che si incrociano"...un omaggio a chi...era sempre all'inizio e, per questo, subì anche tante angherie dal suo Ordine che, come accade spesso, aveva perso lo "Spirito dell'inizio".

Oggi è per me, solo per me visto che non esiste, la festa dell'amicizia e allora...buona festa amici tutti, buon Spirito di "Sankalpa" (il primo giorno) come direbbe padre Ireneo...e che per tutti noi, per la Terra tutta ogni giorno sia un "nuovo giorno carico di promesse e di novità; giovane"

Intorno al 1233, mentre Firenze era sconvolta da lotte fratricide, sette mercanti, membri di una compagnia laica di fedeli devoti della beata Vergine, legati tra loro dell’ideale evangelico della comunione fraterna e del servizio ai poveri, decisero di ritirarsi in solitudine per far vita comune nella penitenza e nella contemplazione. Abbandonata l’attività commerciale, lasciarono le proprie case e distribuirono i beni ai poveri. Verso il 1245 si ritirarono sul Monte Senario, nei pressi di Firenze, dove costruirono una piccola dimora e un oratorio dedicato a santa Maria. Conducevano vita austera e solitaria, non ricusando tuttavia l’incontro con le persone che, spinte dal dubbio e dall’angoscia, cercavano il conforto della loro parola.
Diffondendosi sempre più la fama della loro santità, molti chiedevano di far parte della loro famiglia. Pertanto essi decisero did are inizio ad un Ordine dedicato alla Vergine, di cui si dissero Servi - l’Ordine dei Servi di Maria -, adottando la Regola di sant’Agostino.
Nel 1888 Leone XIII canonizzò insieme i sette primi Padri. A Monte Senario un unico sepolcro raccoglie insieme le spoglie mortali di coloro che la comunione di vita aveva resi un cuor solo e un’anima sola.

SAN BONFIGLIO
Padre e guida del gruppo laico e poi Priore della nascente comunità dei Servi di Maria.
Viene raffigurato con la colomba bianca che si posa
sulla sua spalla destra, per indicare quei doni dello Spirito Santo di cui ciascuno dei Sette era adornato, maggiormente manifestato in lui per il suo carisma di Padre del primo gruppo e della comunità poi. Morì, secondo la tradizione, il 1° gennaio 1262.

SAN BONAGIUNTA
Uomo austero verso se stesso, ma dolce, amabile e comprensivo verso il prossimo. Anch’egli ricoprì la carica di Priore Generale tra il 1256 e il 1257. Per la sua tenacia difesa della verità e della giustizia, cercarono di avvelenarlo, ma fu liberato da Dio. Morì il 31 agosto 1267.

SAN MANETTO
Anch’egli Priore Generale, fu uomo di grandi capacità organizzative e direttive, tanto che si attribuiscono a lui le prime fondazioni in terra di Francia. Fu lui ad accogliere Arrigo di Baldovino, primo di quella schiera di laici che si aggregò all’Ordine dei Servi. La tradizione pone il giorno della sua morte il 20 agosto 1268.

SANT’AMADIO
Possiamo dire che nel gruppo dei Sette egli era come la fiamma che dava calore a tutti con la sua grande carità che si alimentava dell’amore di Dio. Il suo nome, Ama-Dio, fu un vero presagio, segno della ricchezza della sua vita spirituale e di carità. Morì il 18 aprile 1266.

SAN SOSTEGNO E SANT’UGUCCIONE
Di questi due Santi si ricorda in particolare la loro amicizia, tanto che l’iconografia li rappresenta insieme, e la morte, avvenuta per ambedue lo stesso giorno e anno ( 3 maggio 1282) è come un segno e un sigillo di autenticità del cielo alla loro fraternità.
Nel gruppo dei Sette, essi rimangono dunque come simbolo di fraternità vissuta in comunione di vita e di intenti, ma anche come segno specifico di amicizia che, se vera e gratuita, da Dio è ispirata e reciprocamente aiuta a salire a Dio.

SANT’ALESSIO
Della famiglia dei Falconieri, zio di Santa Giuliana, esempio fulgido di umiltà e purezza. La sua vita fu una continua lode a Dio. Amava andare per la questua, impegnandosi specialmente a sostenere i suoi frati mandati a studiare alla Sorbona di Parigi. È morto all’età di 110 anni il 17 febbraio 1310.

4 novembre ‘05
LE MANI NELLA TERRA

E’ fredda, bagnata, quasi vischiosa. Affondo le dita nel fango in questo crepuscolo già avvolto di buio. Non ho mai messo le mani nella terra smossa di una tomba, non ho il culto dei morti. A sette anni di fronte al viso giovane di un papà morto troppo presto che mi sorrideva da una lapide, mi trovai a pensare:
“facciamolo questo gioco che piace tanto ai grandi, facciamo finta che papà sia lì, tanto non è così, è un gioco.”
Da allora i cimiteri sono per me un parcheggio abbastanza lugubre e molto finto di corpi in decomposizione, in cui chi “crede” nella resurrezione si inventa ogni sorta di immagine di disperazione.
I miei morti sono altrove, quelli più amati sono sempre con me, attorno a me.
Sta sera è diverso, sta sera affondo le mani nella terra che è Giovanni Vannucci, che non lo ricopre, che è lui ed è come se lo accarezzassi. E’ un vero contatto fisico con chi non ho conosciuto in vita ma che mi parla attraverso i suoi libri, per mezzo degli scritti che mi arrivano chissà perché via internet, che amici mi mettono in mano e che a mia volta passo all’amico caro come si passa un tesoro prezioso.
“Se rimani anche domani, la sera si potrebbe andare a meditare a Monte Senario, lo si fa ogni mercoledì.”
E’ Giovanna a farmi la proposta con il suo simpatico e sincero accento fiorentino e l’idea mi pare così bella che non ho dubbi; è cosa fatta. Ma non è tanto la meditazione con gli amici che mi attira è il luogo perché lì è sepolto Padre Giovanni e voglio andare a trovarlo. Lui avrebbe voluto essere sepolto nel verde cupo della forra dove si nasconde Le Stinche, il suo eremo, voleva essere sepolto ai piedi dell’immenso albero che sovrasta benedicente il tetto della chiesina, non fu così e me lo immagino in un anonimo e freddo cimitero tutto marmi e fra questo biancore immagino me con una pianticella in mano, qualcosa che sappia di muschio e di rigagnoli d’acqua, qualcosa che abbia l’odore dei boschi e della terra viva.
Frà Luis pare uscito da un antico dipinto bisognoso di restauri, abbandonato in una sacrestia impregnata di odore di muffa e di incenso. Magro, occhi neri che a volte mandano fiamme e poi si placano; uno sguardo un po’ febbricitante. Si muove veloce facendo svolazzare il saio nero che pare troppo grande, quasi appoggiato sulle ossa. E’ lui che ha cercato Giovanna per meditare con il gruppetto che si trova all’ora di pranzo a Firenze ed ora è lui che conduce la meditazione settimanale nella cripta del suo convento. Ci conosciamo nella libreria dove mi sono subito messa alla caccia dei libri che mi mancano. Ho in mano un vasetto di ciclamini bianchi ed è la prima cosa di cui parliamo perché sono belli e sono dedicati. Io lo so ma credo che lui lo senta perché ciò che è dedicato non appartiene più a chi lo dedica ha acquistato una leggerezza nuova, un marchio invisibile che solo occhi lucidi come i suoi possono vedere.
“Sono per Padre Giovanni.” E mentre lo dico mi accorgo che ho le mani piene di lui: Nella sinistra i suoi scritti, nella destra i suoi ciclamini.
“Se mi aspettate vado a prendere la chiave e vengo con voi al cimitero”
E’ così dolce guardare il tramonto con Giovanna e Marisa, con le amiche con cui si è condiviso il silenzio. Forse un giorno la scienza lo spiegherà, forse un giorno sapremo se è “oggettivamente” così ma è certo, è certo per me che il silenzio condiviso è la più grande delle unioni. Nel silenzio le “mie” cellule non sono più mie, come i ciclamini, sono dedicate, sono libere di espandersi, di fondersi, di unirsi a quelle di coloro che lasciano libere le proprie e, a volte per brevi attimi, si è un solo corpo, si è una sola energia e dopo non si è più gli stessi. Fra il prima e il dopo c’è stato quell’attimo di fusione così come due che hanno veramente fatto l’amore insieme e il “fare” e l’essere l’amore sono divenuti la stessa cosa, non saranno mai più quelli che erano prima.
La luce sta svanendo velocemente, Luis riemerge dal convento macchia nera sulla scura parete. Scendiamo veloci lungo la stradetta che si incunea nel bosco di abeti scuri. Il convento massiccio e incombente è stato inghiottito dalle chiome profumate degli alberi, nell’ultima luce in una piccola radura appare il cimiterino. Non è bianco e anonimo, non è freddo come nella mia immaginazione, è dolce e raccolto. La chiave apre il cancelletto cigolante, la prima croce è la sua, sul ferro nero dai sobri ricci solo il suo nome. Altre mani hanno piantato fiori gialli e bianchi sull’allungato mucchietto di terra ma proprio fra due piantine c’è un piccolo, unico spazio grande come il ciclamino. Sorrido al pensiero del piccolo miracolo, per quella dolcissima piccola puntualità. Luis inizia una preghiera, io ho le mani piene di terra che mi pendono ai lati. Ripeto con gli altri le parole antiche ma la mia preghiera sono quelle mani sporche di terra. Le ho affondate nella carne della Terra, le ho immerse in qualcosa di vivo e pulsante. Ho toccato il silenzio sorridente di una grande anima e non ho più bisogno di parole. Siamo ancora lì gli occhi persi fra i fiori gialli che debolmente illuminano la terra scura quando arriva un cane, a breve distanza il padrone ma sulle prime non lo vediamo. Annusa la tomba, pare inchinarsi. Chi ha conosciuto Padre Giovanni racconta dei suoi bastardini dai nomi biblici che lo seguivano dappertutto e che dormivano con lui, un altro cane è qui sta sera per lui. Il bosco, i fiori, l’odore di muschio, la sera che è già; tutto è per lui, tutto lui ci dona.
Vado via contenta, lo so in buone mani, non sotto il grande albero delle Stinche ma comunque in un bosco e questo mi consola, io che non credo nei cimiteri sta sera sono contenta come una mamma che ha lasciato il suo bambino nella scuola giusta. Usciamo, mi volto e gli sorrido.
“Ciao Giovanni, grazie.”

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