Chiara d'Assisi, povera ma libera
È un «elogio della disobbedienza», più che una biografia vera e propria, il bel libro che Dacia Maraini ( nella foto ) ha dedicato a Chiara di Assisi . Ciò che preme alla scrittrice è la possibilità di meditare su una forza di volontà così tenace da sovvertire regole che possono apparire indiscutibili. Fino a un certo punto, la ribellione di Chiara è la diretta conseguenza di quella di san Francesco, il suo grande modello. Ma il «piccolo cuore illuminista» della Maraini, ammesso il fatto, segue un'altra pista, relegando il legame con Francesco sullo sfondo e considerando Chiara alla stregua di un'artista che imprime alla materia della sua vita una forma originale e inimitabile.
È un cammino verso la più totale libertà che si fonda su uno sconcertante paradosso: con la durezza della sua vita, Chiara costruisce una prigione ancora più dura di quella condivisa da ogni donna del tredicesimo secolo. Ma nella clausura di San Damiano, assieme alle sue sorelle, la sua esistenza è effettivamente inviolabile. Si allentano contemporaneamente i lacci oppressivi del maschile, e della proprietà. La povertà volontaria è definita da Chiara, con uno di quegli aggettivi talmente illuminanti da sostituire interi trattati, «altissima»: come il tappeto magico delle fiabe, consente di librarsi al di sopra della miseria di ciò che è stabilito, che subiamo senza sapere perché. Come per Francesco, per Chiara il significato profondo della povertà è la libertà di inventare il proprio destino. Con questo libro, che per metà è un epistolario con una misteriosa interlocutrice, e per metà un diario, Dacia Maraini ha aggiunto un prezioso tassello al suo femminismo, tanto più convincente quanto più estraneo alle sirene dell'astrazione, filosofica o ancora peggio politica. Ragionando da scrittrice, è convinta che le idee, anche le più giuste, devono passare per la cruna dell'ago dell'individuo, e lì, in quel dato corpo e in quella mente, prendere quella particolare fisionomia individuale, quell'inconfondibile deformazione che le rende credibili.
È proprio questo, in fin dei conti, il contributo originale che la letteratura aggiunge agli altri saperi umani. E del resto, che senso avrebbe per la Maraini fare a gara con testi storici come quelli insuperabili di una Chiara Frugoni, o con le interpretazioni di filologi come Giovanni Pozzi ? Non c'è cosa più insopportabile del dilettantismo dello scrittore che, ammassato un certo numero di notizie dai libri «seri», si lancia in discutibili e inutili variazioni sul tema. Anche la Maraini, ovviamente, ha letto molti libri su Chiara e sui suoi tempi. Leggere, confessa a un certo punto, è la gioia suprema della sua vita. Ma se si azzarda ad affrontare un argomento come questo, non dimentica mai che il suo tipo di conoscenza del mondo si fonda sull'aleatorio, sull'imprevedibile, sull'intuizione momentanea. Sarebbe sciocco pensare che la letteratura sia «superiore» ad altri tipi di discorso sul mondo. Più semplicemente, la letteratura è quel tipo di discorso all'interno del quale, parlando di Chiara d'Assisi, il fatto di sognarla ha lo stesso valore dei libri letti su di lei. E a proposito di questi ultimi, si sa che per uno scrittore anche la scelta delle sue fonti, quando si avventura nel buio del passato, deve essere condotta con un certo spirito di finezza. Ebbene, nell'oceano bibliografico che si è trovata di fronte, la Maraini, ha scelto quello che più si addiceva al suo racconto. Si tratta degli atti del processo di canonizzazione iniziato all'indomani della morte di Chiara, avvenuta nel 1253. È un documento umanamente, oltre che storicamente, preziosissimo, perché contiene la testimonianza diretta delle monache che hanno vissuto giorno dopo giorno insieme alla santa, condividendone gli stenti e la felicità.
Ma c'è di meglio: di queste testimonianze non si conosce l'originale latino, ma una bellissima traduzione del Cinquecento fatta da un'altra monaca di clausura. È una lingua bellissima, che più che italiana andrebbe semplicemente definita umbra. La Maraini non si limita a citare estesamente questo sconosciuto capolavoro, ma lo intarsia nel suo proprio modo di scrivere con grandissima sapienza artistica, facendosi contaminare da quella lingua antica, aspra e infallibile nel nominare le cose, che siano i «sarmenti di vigna» che riempiono il pagliericcio di Chiara o l'anima «sensa macula» della santa, che si inoltra «nella clarità de la eterna luce».(Corriere della Sera)
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