venerdì 11 novembre 2011

San martino e...i ricordi






la nebbia...mannaggia, volevo partire presto ma aspetto che si alzi e mi sono venuti in mente delle feste di San Martino a San Martino di Castrozza che un tempo era casa per me...che nostalgia a volte! Ricordo degli 11 novembre con la neve e altri con dei solettini bellissimi e i larici ancora tutti gialli, mai la nebbia che, se c'è, in montagna è solo una nuvola bassa


. In questa foto si vede bene quel prato alto che era...il mio. Ricordo un giorno di autunno splendido, ero sdraiata immobile sul prato vicino a una baitina abbandonata che amavo moltissimo, fra le ciglia vidi passare una coppia sul sentiero più in basso, eravamo i soli lassù poi più niente quando saltai in piedi impaurita sentendo una voce proprio sulla mia testa: "Xe viva!" urlava l'uomo alla donna sul sentiero...ero così immobile che avevano pensato che fossi un cadavere! Il tipo fu quasi scocciato di vedermi saltare in piedi e se ne andò boffonchiando...e io mi rimisi sdraiata a contemplare le nuvole!


Non so se la favoletta che scrissi poi su "Pra da col", così si chiama, nacque quel giorno, tante volte sono andata lassù a godermi il cielo e le montagne, ma oggi mi è venuta in mente e ve la regalo con un pensiero speciale a gli amici montanari di San Martino e a tutti coloro che amano struggentemente le Dolomiti come me....ma si alzerà la nebbia?!





PRÀ DA COL
Una mattina, alle prime ore del giorno, uno degli aiutanti dell' Azzurro, il re delle nuvole, stava rassettando il palazzo o meglio, l'ala del palazzo che era di sua competenza. Perché il palazzo è immenso, così com’è immenso tutto il cielo che si estende a perdita d'occhio, ed è solo una parte del parco che lo circonda.
Non è un castello come quelli che costruiscono gli uomini, non è chiuso da alte pareti, lì tutto è lieve e trasparente e i suoi muri non hanno porte perché vi si può passare attraverso. E' così leggero e tutto di un colore, l'azzurro, che gli umani e tutte le altre creature di tutti i pianeti non riescono a distinguerlo da quell'immensa volta azzurra che nelle varie lingue chiamano cielo. Lì tutto è azzurro, perché il castello è sempre lì e come era continua ad essere: azzurre sono le sue stanze e i mobili, azzurri i suoi abitanti, azzurri i gatti e i cavalli che corrono fra le nubi e Azzurro è il suo Signore.
Laggiù, laggiù, oltre l'orizzonte umano ma nei confini dei possedimenti dell'Azzurro, vi è la fabbrica delle nuvole e i pascoli dove vengono allevate quelle a pecorelle, da lì esse partono per riempire il nostro cielo e lì fanno ritorno quando hanno finito il loro lavoro. Insomma nel regno dell'Azzurro le uniche cose che non sono azzurre sono le nuvole e le stelle di notte. Ma il cielo di notte non è azzurro? Sembra, in realtà l'Azzurro per farci riposare stende una coperta piena di puntini luminosi, le stelle, così, senza luce, riusciamo a dormire meglio.
Ma torniamo da capo. L'aiutante dell' Azzurro rassettava il palazzo, sprimacciava le nuvole divani e le nuvole poltrone, spolverava la polvere di stelle che si era posata dappertutto, visto che la sera prima c'era stata una festa e le stelle cadenti, chiamate così perché sono sbadate e inciampano sempre, e le comete avevano messo un grande scompiglio nei salotti del castello saettando di qua e di là e facendo a gara a chi aveva lo strascico più lungo e l'alone più sfolgorante. L'aiutante dell'Azzurro era ancora forse un po’ sbronzo e un po’ stanco per tutto quel latte che aveva fornito la Via Lattea la sera prima e fu forse per questo che mentre sbatteva un tappeto, proprio quello del salotto più bello dell' Azzurro, gli cadde di mano dall'alto del balcone e volò giù, sempre più giù verso la Terra.
Mamma mia che disastro! L'aiutante era disperato, sentimento assai raro e strano per un abitante di quel regno felice. Ma sì, era disperato perché sapeva quanto preziosa fosse ogni più piccola cosa nel palazzo. E quel tappeto stava proprio volando verso la Terra dove gli uomini, si sa, sono dei grandi sciuponi delle bellezze del Creato.
Il tappeto, dal canto suo, era felice di volare nel cielo. Niente era in apparenza cambiato, lui era azzurro e tutto attorno a lui era azzurro come sempre, ma dopo un po’ il vento che frusciava fra le sue frange accompagnandone la caduta verso la terra, divenne vortice: il risucchio che l'aveva catturato, lo arrotolava tutto e lo sbatacchiava facendo uscire dalle sue pieghe la polvere di stelle molto meglio di quello sbadato aiutante del Re. Il tappeto era ignaro della sua futura sorte, ma intanto era felice di quell'inattesa avventura.
Dovete sapere che la cosa che maggiormente distingue la Terra dal Cielo non è la sua consistenza, non è la materia ma il colore. Qui, sulla Terra, poche cose sono azzurre, fatta eccezione per le genziane, i non ti scordar di me e gli occhi delle principesse delle favole, mentre tutti gli altri colori sono in ugual misura presenti. Ma ancora una volta vi è un'eccezione: le Dolomiti. Lì tutto è di pochi ben distinti colori ma così intensi da far pensare che siano colorate con i pigmenti allo stato puro. Dicevamo le Dolomiti, lì i colori variano dal bianco a tutte le sfumature del rosa e del grigio delle sue rocce, al verde, in tutte le sue gradazioni, dei boschi e dei prati. E i fiori? Beh quella è un'altra storia visto che solo a nominarli tutti non basterebbero libri grossi come quelli di una Enciclopedia.
Il nostro tappeto, arrotolato come un siluro, stava proprio piombando lì, sulle Dolomiti, in quella parte di mondo che in quanto a bellezza aveva poco da invidiare al regno dell' Azzurro.
Proprio quando il tappeto stava per toccar terra, l' Azzurro si svegliò e, come sempre, aprì la porta del suo balcone, per ammirare il suo cielo e guardare giù verso la Terra per controllare se, almeno per quel giorno, gli uomini avessero evitato di mettere scompiglio in tutta la bellezza che era stata data loro in dono.
Fu allora che l' Azzurro vide il tappeto, appena sopra il limite del bosco, a pochi balzi celesti dal Velo della Madonna: il suo tappeto stava steso al sole, aggrappato agli abeti che gli facevano corona e si stiracchiava tutto per rimettersi dal grande volo.
"Che ci fa il mio tappeto sulla Terra?" tuonò l' Azzurro. "Non è per gli uomini, è troppo bello e poi è azzurro e a loro piace il verde per i tappeti".
L'aiutante tentò di nascondersi, ma con pareti trasparenti non c'è modo e poi in quel paese non esistono le bugie e la sua esitazione a confessare al Re che cosa aveva combinato, durò meno dello spazio di un pensiero.
"Sono stato io, o Azzurro, il tappeto mi è caduto mentre lo sbattevo fuori dal balcone e ora non so più come riportarlo su".
Azzurro borbottò per un poco, cosa che causò un terremoto in Friuli e un ciclone in Polinesia, poi sorrise nuovamente e bofonchiò: "Gli uomini non si meritano un dono simile. Chissà che ne faranno e se capiranno quanto è prezioso?"

Un altro sguardo in giù e l' Azzurro si avvide che dei pastori stavano risalendo con le loro mucche il pendìo che va da dove ora c'è il frequentatissimo Caffè Col, al suo bel tappeto, pardon, il prato: al pascolo di Prà da Col. Bisognava agire in fretta: afferrò al volo il larice più grosso e intintolo in uno di quei laghi alpini che, essendo circondati dal bosco, sono verdi come gli abeti, con due pennellate colorò di verde il suo bel tappeto azzurro. Poi ordinò ad un vento delle crode di volare raso i prati di tutte le Dolomiti e raccogliere i fiori più belli per poi spargerli sul tappeto. Il tutto avvenne alla velocità del cielo, di gran lunga superiore a quella della luce visto che essa ne è solo una parte.
Quando i pastori arrivarono sul colle, dove fino alla sera prima si stendeva un arido ghiaione, o meraviglia! Videro il prato più bello che uomo potesse immaginare, un pascolo d'erba dolcissima per le loro mucche, un luogo di gioco, ampio e protetto, per i loro bambini, un paradiso di fiori e profumi. Uno di loro corse giù in paese a dare la notizia, per annunziare il miracolo e… il sindaco con la fascia, il parroco, la banda, le guide alpine, il farmacista e il vigile con la barba e i baffoni seguiti da tutto il paese, salirono al prato per fare festa e far capriole sull'erba morbidissima.
Il prato (così si doveva abituare ad essere chiamato) era felice. Gli facevano un po’ male le impronte degli scarponi di chi lo calpestava e ogni tanto mandava urletti, che nessuno udiva, quando una mucca tirava un po’ troppo violentemente le sue foglioline. In fondo lui non era un vero prato e prima di questa avventura su di lui erano passati soltanto i piedi leggerissimi degli angeli ma nell'insieme era felice, specialmente per la felicità che sentiva espandersi nell'aria da chi si sdraiava su di lui per immergere gli occhi nel suo antico paese, il cielo. Ai piedi del Velo della Madonna ne sentiva la presenza divina, e si propose di essere il suo scendiletto. La cornice delle Pale lo faceva sentire protetto e sicuro.
Da allora l'Azzurro non ha mai smesso di curare in modo particolare quel suo pezzo di creazione. Gli uomini però non hanno resistito alla loro terribile tentazione di deturpare le cose più belle e ora hanno piantato sul suo limite due grossi tralicci dell'alta tensione.
Nel prato vi è anche un altro manufatto, che però ha avuto l'approvazione dell'Azzurro: è una piccola baita di legno che àncora a terra il tappeto, non si sa mai che voglia volare di nuovo lassù, che perdita sarebbe per noi!
Vi è, nell'anno degli uomini, un momento particolare in cui il prato celebra la sua appartenenza al cielo. Quando alla fine d'agosto il sole è ancora caldo ma nelle ombre lunghe del tramonto vi è già un non so che d'autunno, gli angeli, prima che gli uomini si sveglino, scendono dal cielo e cospargono il prato di migliaia di stelle che lassù sarebbero bianche ma che qui prendono un lieve colore lilla: sono i colchici.
È allora che il Prà da Col ritorna ad essere il tappeto dell'Azzurro ed è lassù, fra cielo boschi e pareti di roccia che se stai in silenzio puoi udire il frusciare delle ali degli angeli intenti a spargere i fiori più belli del cielo.

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