carissimi, sto per andare alla stazione a prendere Marisa l'amica cara, la compagna di tanti passi pellegrini...solo 10 mesi fa varcavamo quel muro insieme piene di rabbia e di tenerezza e oggi siamo qui, con quella gente nel cuore...con tutti quelli che soffrono perchè il loro diritto alla vita è negato...
Ieri sera, pastrocchiando con il computer, ho ritrovato una paginetta scritta appena tornata dalla Terra Santa, me ne ero completamente dimenticata, la copio qui per voi pensando a tutte le mamme del mondo...
Aprile 2008 di ritorno dalla Terra Santa
Mamme
Sta mattina alle cinque sono stata svegliata dal miagolio disperato e sofferente della mia gattina, ho fatto appena in tempo ad adagiarla nel cestino preparato apposta e lei ha partorito il primo di quattro gattini belli, tigrati, vispi come lei. La pellegrina svedese mia ospite, china con me sul cestino, mi ha poi raccontato di come la sua gatta desse fiduciosa i suoi gattini alla cagnetta che si era fatta venire una gravidanza isterica per allattarli e poi andasse a fare una passeggiata. Cani e gatti, il sinonimo dei nemici, eppure una mamma per finta si prendeva cura dei figli del nemico.
Mamme, le mamme delle creature, sì ho fiducia in loro, ho fiducia nelle donne come me perché, sia che si abbia partorito o meno, si ha in sé il luogo per contenere una vita, si è predisposte ad allevare, accudire, prendersi cura della vita.
Quanto ho pensato a Maria in Palestina! Fra le case distrutte dai buldozers dei pastori di oggi, nello sguardo della donna al campo profughi di Ramallah mentre mi raccontava del suo primogenito in prigione, non si sa dove, non si sa perché. Nei fagotti di quelle che andavano alle prigioni a trovare i figli e anche nella giovinezza dei ragazzi ai check-points c’era sempre l’immagine di una mamma perché poi la vita si riduce a questo, a gli affetti primari, ai bisogni primari, alla vita di tutti i giorni non agli imperi, non alle masse ma al singolo, al suo piccolo universale mondo ripetuto per i miliardi di esseri umani che fanno l’umanità..
Maria ragazzina con il pancione issata su un asinello trainato dal dolce Giuseppe. Un viaggio assurdo da Nazareth a Betlemme, quindici giorni di cammino per essere schedati e quel “censimento” tante volte ascoltato nelle Messe di Natale improvvisamente mi è apparso per quello che era, il contare il popolo, l’incasellarlo nei luoghi, sul territorio parte di un impero. Perché?
Di fronte al mio computer mi sento la solita “Mafalda la contestataria” la bambina che ossessiona i grandi con la sua filosofia fatta di piccole cose ricavate dalla realtà più prossima. Forse è per questo che mi piace Francesco a lui tutto parlava della stessa Legge, per lui tutto o era Amore o non era, tutto era pragmaticamente palpabile. E così sto qui a domandarmi che cosa se ne faranno poi degli imperi i costruttori degli stessi, cosa se ne farà Israele di una terra cementificata dagli insediamenti quando non ci saranno più quelli che la coltivano con amore, che terzo tempio costruiranno sulla montagna sacra quando l’avranno vinta sulle moschee. Saranno più felici quando la “Terra promessa” sarà tutta loro?
Mi fanno paura le donne soldato, è qualcosa contro natura, ammetto che una donna per difendere i figli possa giungere a gesti estremi ma non concepisco che si obblighino le ragazze ad indossare tute mimetiche e ad imbracciare mitragliatrici. Finisce sempre che per dimostrare la propria capacità di ricoprire un ruolo maschile la donna diventi eccessiva e, in questo caso, si incattivisca divenendo più realista del re. Non riesco a dimenticare lo sguardo arrogante delle ragazzette ai check-points e quel misto di rabbia e tenerezza che mi facevano e oggi penso anche alle loro mamme, all’angoscia che devono provare pensando i propri figli in prima linea.
Sì, si può costruire uno stato sulla paura, si può andare in gita scolastica seguiti da una guardia armata, si può allo stesso modo andare a pregare al muro del pianto ma si è poi più felici, più sereni, più appagati dalla vita?
Il Vangelo di ieri parlava di “pietre vive” e mentre ascoltavo, in sovrimpressione, vedevo le “pietre morte” i resti di un Tempio che un impero distrusse; il muro di pannelli prefabbricati alti nove metri che un nuovo impero costruisce per dividere; le macerie della casa distrutta da poche ore nel villaggetto di pastori a pochi chilometri da Hebron. Poi gli occhi dolci di quella mamma circondata da un nugolo di piccolini che mi offriva un the lì, in piedi, di fronte ai materassi ammonticchiati, alle quattro cose che fino alla notte prima erano la sua casa; un cubetto di cemento in una valletta pietrosa il cui unico difetto era di essere dove i coloni hanno deciso di allargare il loro insediamento.
Dei “nostri imperi” non resteranno nemmeno belle rovine, nessuno scaverà la terra scoprendo archi di trionfo sotto cui i vinti sono passati, rimarrà una massa di cemento e ferro senza memoria, inquinante e grigia intrisa di dolore dove la memoria dei vinti di oggi non avrà nemmeno la dignità di un fregio.
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