lunedì 11 ottobre 2010

Trasferiscono l'amico don Aniello...un altro scandalo del potere della Chiesa

...prima Bregantini ora lui...ma la Chiesa è in mano all' Andgrangheta e alla Camorra?!?

Aniello...un amico, anni fa mi chiamò, voleva la credenziale. Poi mi chiamò quando era in cammino: "Sta sera arrivo ad Assisi (era Gubbio e si apprestava a fare una tappa massacrante) posso dormire lì? dove posso dire la Messa?"...l'ostello era pieno di pellegrini fra cui tanti scouts che erano presenti alla telefonata e che mi suggerirono di chiedergli di dire la Messa qui e che sarebbe stata una cosa molto importante per i giovani che affollavano l'ostello, glielo proposi e mi lanciai a cercare in giro tutto quello che occorreva per la Celebrazione (quella fu la prima Messa detta fra questi muri)...si fecero le 18 e lui non era ancora arrivato, lo chiamai: "Mi sono sentito male per il caldo, sono stato soccorso da dei contadini...ma arrivo..." "Dove sei? Ti vengo a prendere" "ma no...arrivo, sono a Valfabrica"....Inforcai la macchina e gli andai incontro e mi trovai davanti un pretino magro e sudato in pantaloncini e camicia nera con il collarino sbottonato come in questa foto che ho trovato in internet, il sudore gli aveva rigato la camicia che ne era tutta marmorizzata...saltò in macchina e arrivammo all'ostello che la cena era pronta...si fece una doccia ed era nuovo: tosto, abbronzato, felice con il suo largo sorriso...poi ci fu la Messa, una delle più belle a cui abbia mai assistito, ci parlò di che cosa voleva dire essere parroco a Scampia, i ragazzi e tutti i pellegrini erano presi da questa sua forza e Bellezza...poi gli scouts ebbero una loro cerimonia...io ero sfatta e andai a casa lui restò con loro...la mattina dopo, quando alle 6,40 passai per venirlo a prendere per andare a San Damiano, mi disse che fra quei ragazzi c'era una in crisi e che l'aveva confessata all'una di notte...concelebrò a S.D. e poi ripartì con quel suo bel sorriso stampato in volto...altre volte è passato di qui ed è sempre stato un incontro di Bellezza...oggi, saputa la notizia, ho provato a chiamarlo ma non so se il numero che ho è sempre valido....chi leggerà questo post e che magari lo conosce gli dica da parte mia:
"ANIELLO SEI UN GRANDE E SONO CON TE"
riporto qui sotto un'intervista che lui ha rilasciato a proposito di questo suo spostamento demenziale o pilotato...leggetelo come volete ma Napoli è ora ancora più povera e la disperazione della gente di Locri di qualche anno fa sarà la stessa di Scampia...che orrore, che indecenza, che tristezza...povero Gesù!
Oggi viene trasferito da Scampia il prete nemico della criminalità

Don Aniello: «Io scomodo? Uso
il Vangelo contro la camorra»

di Giovanni Marinetti
Don Aniello Manganiello è un uomo di Dio. Davvero. Ama la sua gente e per la sua gente ha fatto tanto. In un territorio difficile, molto difficile: Scampia, Miano, Secondigliano. Sedici anni durante i quali la sua comunità ha avuto modo di apprezzarlo. Anche per la sua lotta contro la camorra. Oggi verrà trasferito. Con rammarico, per dire rabbia, della sua gente, di quel territorio. E nel silenzio generale. «Dopo la fiaccolata organizzata a luglio a Napoli contro il mio trasferimento e la conseguente risonanza nazionale è calato il silenzio. A mio avviso penso che questo silenzio possa essere stato imposto. Da chi non lo saprei dire…»

Don Aniello, che succede oggi?
«Saluto la mia gente, la mia comunità al “Don Guanella” con la quale ho camminato per sedici anni. Ho condiviso le loro sofferenze, le loro ansie, le loro difficoltà e i loro stenti».

Tecnicamente perché viene trasferito?
«Una delle regole della vita religiosa – io sono un sacerdote dell’Opera Don Guanella, che ha diverse case a Roma a favore dei disabili – è l’avvicendamento. Non è possibile che un sacerdote rimanga per molto tempo nello stesso posto. Secondo i miei superiori, e sicuramente c’è una percentuale di verità, il cambiamento fa bene a chi va via e a chi rimane, perché garantisce un ricambio, una impostazione nuova e proposte nuove. L’ambiente non può che riceverne giovamento. Il problema è come vengono effettuati questi avvicendamenti: un conto è un avvicendamento di un parroco di Posillipo o del Vomero, un conto è l’avvicendamento di un parroco di Secondigliano e Scampia. Questi ultimi sono avvicendamenti che vanno fatti con intelligenza e con una certa calma, prevedendo anche dei tempi lunghi - almeno un anno – durante i quali il parroco che è trasferito possa affiancare il nuovo permettendogli una accoglienza serena da parte della comunità. In soldoni la mia comunità parrocchiale chiedeva questo. Io ero disposto a fare da tutor al nuovo parroco. Siamo riusciti ad ottenere che questo tutoraggio duri fino a gennaio, anche se devo partire per Roma e tutto si limiterà a una decina di giorni al mese, cioè una cosa non continuativa».

Così non si rischia di far allontanare la gente dalla Chiesa che, come lei ha dimostrato, tanto può fare contro le mafie?
«Sì. Certo, dipende sempre pure dal parroco e forse io per origini e per carattere ha favorito un legame con la comunità. Perché è questo che la gente cerca: sacerdoti che vivano in strada, che si interessino a loro. Sacerdoti che magari non riusciranno a risolvere i loro problemi ma che danno la certezza sia lì, accanto a loro annunciando il Vangelo in modo umano, con umanità. E non sempre questo avviene. Quello che lamentano molte comunità parrocchiali è avere un sacerdote più preoccupato dei riti, delle celebrazioni e della struttura e poco preoccupati dell’uomo. Io ho cercato di mettere al centro l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, e questo ha portato la comunità ad avere un grande affetto per me e a lottare e battersi perché non venissi trasferito a Roma».

Ha provato a parlare coi tuoi superiori?
«Ci sono stati alcuni incontri con loro e anche alcuni membri della mia comunità - soprattutto i giovani con responsabilità all’interno dell’oratorio - hanno chiesto incontri con i miei superiori. Gli incontri sono stati concessi e posso affermare che questi giovani hanno fatto presente le loro preoccupazioni e le loro perplessità, come ho fatto pure io. Però niente, non c’è stato verso. In effetti nella Chiesa quando si decide una cosa, un trasferimento, difficilmente i superiori o un vescovo tornano sui loro passi. Forse c’è quella preoccupazione di non dimostrarsi deboli, di non fare brutta figura e di non creare precedenti rispetto a sacerdoti che ricevono l’obbedienza. E l’obbedienza nella vita religiosa è uno dei pilastri portanti. La loro preoccupazione è che se cade questo pilastro cade tutta la vita religiosa. Don Milani diceva che l’obbedienza non è una virtù. In questo caso ho obbedito con la ragione ma non con il cuore. Certi avvicendamenti vanno gestiti diversamente e la gente – il popolo di Dio va ascoltato. La Chiesa cattolica non ascolta il suo popolo quasi mai. Sembra che il carisma del comando, il carisma del discernimento, la certezza della verità ce l’abbiano solo le gerarchie: il papa, i vescovi e i sacerdoti. E questa è una offesa nei confronti del popolo di Dio, anch’esso battezzato, con un ruolo e una vocazione».

È stato definito un prete scomodo.
«La mia pastorale predilige la strada, sto poco in ufficio. Questo mi diversifica da tanti altri preti che vivono ore e ore in ufficio. Non mi sono mai sentito ostaggio della canonica, mi sono buttato nel sociale e questo mi ha provocato il rimprovero di essere troppo sbilanciato sul sociale e poco sugli aspetti peculiari del mio sacerdozio, cosa non vera. Certo è che mi sono sbilanciato dalla parte dell’uomo più povero. Non posso dire al povero “Dio ti ama” e poi non fare nulla per migliorare la sua condizione. Oggi nella Chiesa mi pare si facciano dei bei discorsi ma poi siano pochi i fatti. Per questo mio modo di impormi come martello sulla camorra e i camorristi, il denunciare, questo attaccare le loro prepotenze e dirlo in tv, ai giornalisti e indicare dove si spaccia, dove si chiede il pizzo, ho avuto rimproveri e grosse critiche all’interno della chiesa stessa. Io ho rifiutato il matrimonio ai camorristi e il battesimo ai loro figli quando non accettavano un percorso di conversione mentre tanti parroci, per non avere noie, i sacramenti continuano a darli anche a questa gente. Per questo sono un prete scomodo non in linea con gli altri parroci, ma io rifarei tutto».

Pensa di aver dato più fastidio alla camorra o a certa politica?
«Ho avuto minacce di morte da parte della camorra. Però devo dire, anche se sembra un controsenso, che i camorristi in carcere dicono al nostro cappellano: “Tenete i nostri ragazzi in oratorio al Don Guanella perché non vogliamo che facciano la nostra stessa fine”. I camorristi hanno sempre apprezzato il mio impegno nel sociale, per i poveri. Ho acquistato autorevolezza. Anche se è ovvio, davo fastidio per le mie denunce perché provocava una maggiore presenza di forza dell’ordine. Le difficoltà maggiori le ho trovate dalla politica. Quando ho denunciato la collusione della politica con la camorra il sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, invece di interrogarsi su queste parole e di chiamarmi ha minacciato di querelarmi alla Procura della Repubblica. A Bassolino, nel ’96, durante una riunione con noi parroci da lui convocata, dissi di chiedere scusa per i ritardi e la condizione delle periferie. Rispose che non si sentiva responsabile di nulla e gli diedi del “pidocchio” su Repubblica. Il giorno dopo mi chiamò dandomi del mascalzone.
Le “cainate” e gli atteggiamenti più squallidi, più negativi li ho avuti dai politici. Anche per avere un marciapiede più largo! In loro ho trovato le difficoltà maggiori. Mi hanno tacciato di essere un prete di destra. Ma quale destra e quale sinistra?! Io nelle mie denunce non sono stato condotto da motivi ideologici o scelte partitiche: le mie denunce le ho fatto perché vedevo il degrado, il malgoverno, i ritardi, la gestione scandalosa dei soldi della collettività! Il menefreghismo di certa politica e la collusione provocava in me una ribellione per dare voce alla gente che per paura o per clientelismo non parlava».

Cosa ricorda del suo arrivo al Don Guanella?
«Quando arrivai fui colpito da un ragazzo diciottenne, ex pusher dei Di Lauro, che aveva iniziato il cammino in carcere. Lo presi come figlio. Oggi è completamente rinato, allora era morto. È sposato, ha due bambini e ha scritto un bellissimo libro, Ali bruciate. Si chiama Davide Cerullo e oggi, in giro per l’Italia, parla di legalità per dire che è possibile liberarsi della mafia, della camorra. L’altra cosa che mi colpì quando arrivai fu un muro con inferriata alto più di due metri e che separava il centro Don Guanella dalla strada. Lo feci abbattere e la gente apprezzò tantissimo, perché fu come aprire “i cancelli” della Chiesa, senza paura dei ladri, degli spacciatori, dei delinquenti. Tutti potevano entrare nella nostra casa. Quando dissi la prima messa la chiesa era piena di romani e pochissimi napoletani, oggi le cose sono cambiate. Oggi la chiesa sarà stracolma. Con questa gente abbiamo fatto un cammino lungo. Speriamo che continui».

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