domenica 20 gennaio 2013

a cosa servono le guerre...

questi 2 articoli sono tratti dal sito www.ildialogo.org da cui ricevo costantemente gli aggiornamenti e che trovo molto interessante...buona lettura!
Mali: non vogliamo rassegnarci a un'altra guerra


di Pax Christi Italia

Non vogliamo rassegnarci a un'altra guerra che sta ereditando armi e persone di quella libica.
Ci allarma il vuoto della politica subalterna all'economia di guerra.
L'impresa militare in Mali rischia di diventare “una piccola guerra mondiale” dagli esiti incontrollabili in un'area vastissima, politicamente fragilissima e socialmente complessa: dal Mali all'Algeria, dal Niger alla Nigeria, dalla Mauritania al Burkina Faso, dal Ciad al Corno d'Africa, dal Congo al Sudan, dall'Arabia saudita ai paesi del Golfo, dall'Iraq alla Siria.
Non possiamo accettare che la soluzione dei conflitti avvenga sempre con guerre che li alimentano e li aggravano in una spirale senza fine.
Non intendiamo aderire al consenso quasi unanime verso operazioni militari mosse da logiche neocoloniali che difendono interessi vecchi e nuovi e il controllo di risorse preziose che i maliani non utilizzeranno (oro, petrolio, uranio e gas).
Già vediamo sfilare il solito lugubre corteo di guerra: bombardamenti, stragi, rappresaglie, rapimenti, violenze su donne e bambini, migliaia di sfollati e di profughi, bande contrapposte spesso all'interno dello stesso schieramento (alcune delle quali aiutate da paesi vicini e lontani), traffico incontrollato di armi e di droga, tanta sofferenza, insicurezza generale.
Proponiamo con forza di rilanciare la politica estera verso l'Africa attivando tutti gli strumenti (non armati) del diritto internazionale, con capacità di mediazione, con una vera e solida Unità africana sostenuta dall'Onu e dall'Unità europea, con decise iniziative di isolamento dei violenti, con una seria politica di “intelligence”, con forze polizia internazionali promosse dalle Nazioni unite in accordo con la Unità africana, con una vera cooperazione economica e politica, con il sostegno alle istanze democratiche emerse nella “primavera araba”, con il dialogo tra culture e religioni.
Ormai in piena stagione elettorale, ricordiamo l’intervento del vescovo Presidente di Pax Christi, mons. Giovanni Giudici, lo scorso 13 gennaio,(www.paxchristi.it) in cui chiedeva agli elettori e ai candidati l'impegno di costruire la pace riducendo le spese militari, limitando il commercio delle armi e fermando la corsa al riarmo.
Lo esigono il dolore di troppe vittime, la gravità della crisi economica, la coscienza di cittadini e credenti a 50 anni dalla Pacem in terris che definisce la guerra “pura follia”
Pax Christi Italia
19 gennaio 2013

FARE LA GUERRA CREA POSTI DI LAVORO


È un terremoto sociale. Ma purtroppo sembra il «liberismo» di molti governi: distruggete, poi ricostruiamo.

La Repubblica italiana non è fondata sul lavoro, ma sulla guerra. Non lo vedo soltanto io, lo dicono anche altri, da tempo. Il lavoro manca, i soldi per la cosiddetta Difesa si trovano. Miliardi in aerei, sommergibili, soldati, bombe. Strumenti di morte. L’attuale premier, il senatore Mario Monti, prospetta una legislatura costituente dopo le elezioni politiche di febbraio. Era ed è così anche per il suo predecessore, onorevole Silvio Berlusconi, oggi suo acerrimo antagonista nella corsa per la guida del prossimo governo. Entrambi sono liberisti, entrambi vogliono vendere parti delle proprietà dello Stato (cioè di tutti) ai privati, entrambi sono per la spietatezza della libera (libera!) concorrenza: entrambi vogliono modificare la Costituzione, che è un nobile documento di pace, nato appunto sulle macerie di una guerra mondiale.
La guerra è un terremoto sociale: distrugge tutto, materia e spirito. La notte del 6 aprile 2009 un imprenditore edile informato da un collega del terremoto che aveva appena finito di far crollare l’Aquila e una cinquantina di paesi dell’Abruzzo, si mise a ridere: spiegò che pensava ai miliardi che avrebbe guadagnato con la ricostruzione. Non gliene importava nulla dei morti, della miseria dei rimasti, dei feriti, del dolore. Gli interessavano i soldi che avrebbe guadagnato a palate con i traffici della ricostruzione materiale della città e dell’Abruzzo disastrato. I mass media parlarono quasi subito di mafia. Il giorno dopo, i giornali affermavano: «Il giro di denaro intorno a una tragedia di queste dimensioni è immane: equivale al costo di una guerra…».
I fabbricanti di armi (i proprietari di tutte le grandi società, delle banche, dei giornali, delle compagnie commerciali sono praticamente tutti azionisti di industrie produttrici di materiali bellici) possono ridere tutte le notti. Più guerre, più soldi con la «ricostruzione». Infatti le alimentano con i loro prodotti. Ci sono guerre in quasi tutte le parti del mondo. Vengono chiamate anche guerre di liberazione, di religione, guerre civili, di difesa o altro. Gli eserciti sono detti regolari o governativi o lealisti oppure partigiani, patriottici, tribali, terroristici, banditeschi e via dicendo. Per entrare in guerra, sono state inventate anche le «missioni di pace».
Alla tv si vedono case distrutte, montagne di pietrame, ferri, calcinacci, folle vocianti che trasportano di corsa uomini e donne feriti, sangue, barelle, bare. Si mandano i droni a uccidere anche i sospetti (tutte notizie tratte dalla stampa). Circa 80 mila morti in Siria: si uccidono tra di loro. Il caso più recente è il Mali, terra di petrolio, uranio, fosfati, dove pure gli islamici si uccidono tra loro e aspettano gli occidentali. Carestia nel Sahel: milioni e milioni di persone non hanno da mangiare. Muoiono. Ci sono anche centinaia di suicidi tra i soldati veterani occidentali. Però ci sono i soldi per le armi. Molti paesi scalpitano per partecipare alla mattanza. Si parla di futura ricostruzione, di nuovi «piani Marshall», come dopo la seconda guerra mondiale in Europa, cioè di offrire denaro ai sopravissuti per riaverlo decuplicato in pochi anni. Ecco trovato il metodo per dare posti di lavoro, ed essere anche ringraziati. Ma non c’è un piano Marshall per resuscitare i morti.
Parlando dei morti, i mass media tendono sempre a mettere in risalto anche il numero delle donne e dei bambini, per catturare l’emotività del pubblico, come se gli altri, maschi adulti e vecchi, non contassero quasi niente. Cioè, vien fatto di capire: contano i numeri e le emozioni esteriori. L’uomo, per intenderci l’Uomo, l’umanità dell’individuo, la sua divina creazione (per chi crede) non viene nemmeno preso in considerazione. In questo stato è ridotta oggi la ragione: vale il denaro, non l’uomo. Si sapeva, ma i commenti ai disastri della guerra presentano un Duemila uguale al Medioevo. Le statistiche del 2012 dicono che i ceti bassi e mediobassi si impoveriscono ovunque sempre più, i ricchi diventano sempre più ricchi. «Che fare?». Creare mille Sirie o Somalie o Mali.
Mario Pancera
















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