domenica 25 dicembre 2011

in noootte placida..e...la mattina...del dì di festa
















bellissima Messa cucciolotta alle Cerceri! Peccato piovesse ma la mini processione è stata bella lo stesso, poi una fetta di panettone insieme nel reffettorio di san Bernardino (chissà come era il loro Natale lì nel 1300?!) Beh i canti semplici, l'atmosfera fraterna e dolce, i lumini, la semplicità...non dovevano essere molto differenti.


frà Mimmo ha cantato un'antica nenia di Natale come uno zampognaro e suor Angela ci dava dentro al suo violino che si accordava bene con la chitarra di frà Valerio, veramante tutto molto dolce e semplice, come deve essere per festeggiare una nascita, semplice e regale come tutte le nascite...


Oggi pensavo di starmene davanti alla tv mangiando bastoncini findus ma...mi ha chiamato Trish dicendo: "Ma tuuu sei soula? Vieni quuuui" difficile imitare l'accento da Stan Lower della carissima Trish tutta incerrottata, insomma, morale, avrò anch'io il mio pranzo di Natale! E con questo accento da piccola fiammiferaia single che ha trovato casa, faccio un augurio di sopravvivere al "giorno del dì di festa" a tutti i solitari, a tutti coloro che non hanno amici o famiglia, a quelli che vagheranno per le città senza meta guardando tutto come se fosse di là da un vetro sognando un'appartenenza che non è la loro, ai vecchietti con pochi soldi che magari dovranno andare a mangiare un hambuger per sfamarsi, e anche a quelli che pur in compagnia si sentiranno soli perchè l'avere gente attorno, a volte, non vuole dire essere meno soli...mai dire: "Dai che passa! Non sei solo" si peggiora la situazione, meglio essere loro vicino senza dire una parola sapendo che la solitudine, quella che in inglese si chiama "loneliness" è qualcosa da curarsi molto spesso da soli allargando le ali verso l'Universo intero...soli come i pianeti e le stelle...ma, mi raccomando, senza dirlo, sapendolo solo.


Incollo qui una bellissima omelia di Giovanni Vannucci...la "grotta" mi ha fatto venire in mente quella di Monte Sant'Angelo... Buon giorno di Natale a tutti voi!

ALCUNI SEGNI DELLA NATIVITÀ1

Gli eventi commemorati nelle solennità dell’anno liturgico vanno meditati con una mente sorretta e dalla fede e dall’attenzione a quei significati che la Chiesa orante vi ha scoperto o inserito, non per obbedire a una curiosità fantastica, ma per fissare l’insieme di evocazioni che il fatto commemorato ha suscitato nell’anima dei fedeli. Gli eventi che costellano l’anno liturgico: Natività, Epifania, Risurrezione, sono dei fatti che si sono compiuti in un determinato luogo e in un particolare tempo, come momenti salienti della Rivelazione che stabiliscono un legame tra l’umano e il divino, tra il mondo della storia e quello del mistero, e non possono essere avvicinati se non da una mente contemplativa che tenga conto della loro realtà storica e soprastorica, terrena e celeste, legata al tempo e allo spazio e insieme trascendente queste due dimensioni.
La narrazione della Natività che forma il canovaccio delle ulteriori aggiunte è quella dell’evangelista Luca (capitolo secondo). Maria e Giuseppe furono convocati dall’amministrazione romana a Betlem, per il censimento. Maria, al termine della gestazione, non avendo trovato posto nella locanda della cittadina, diede alla luce il Figlio e lo depose, avvolto nelle fasce, nella mangiatoia. Un Angelo, attorniato da altri spiriti che cantano, annuncia la prodigiosa nascita a dei pastori e li invita ad andare a venerare il nato Salvatore, adagiato in una mangiatoia. I pastori si recarono solleciti sul posto e trovarono Maria, Giuseppe e il neonato posto nella mangiatoia.
L’immagine consueta del Presepio contiene dei particolari che in Luca non sono menzionati: la grotta, il bue e l’asino. Essi sicuramente sono racchiusi nell’immagine evocata dal vocabolo «mangiatoia», faine in greco: essa designa un bacino, una cavità ricavata dalla parete della grotta, per deporvi non solo il mangime del bestiame, ma anche il cibo degli operai e dei pastori che vi mettevano il loro pranzo che consumavano insieme.
In un resto della Mishnah che risolve alcuni problemi di casistica alimentare, si parla di un sito ove venivano appoggiate le cibarie degli operai e dei pastori: esso è chiamato ebus, mangiatoia, stalla, truogolo. In questa prospettiva, le parole dell’Angelo ai pastori: «Questo sarà il segno», il «segno» rivelatore del mistero del Fanciullo - un neonato è deposto nella mangiatoia, nell’incavo ove siete soliti appoggiare le vostre vivande durante il lavoro -, acquistano un più pertinente significato: il Fanciullo nella mangiatoia è: «II Pane disceso dal cielo. Chi mangia della mia carne, avrà la vita » (Gv 6,51. 54).
La grotta è un simbolo universale il cui significato fondamentale è quello di costituire il punto di passaggio delle forze che dal cielo scendono sulla terra e dalla terra ascendono, rinnovate e redente, verso il cielo. È il simbolo delle origini e della rinascita; della nascita e dell’iniziazione; del centro ove le forze discese dal cielo invertono la rotta per ritornare alle origini. Gesù è nato in una grotta, e in una grotta fu sepolto, da dove è risorto nella pienezza della Vita.
Il simbolo precede e segue il Rivelatore. Come se esso ne fosse parte integrante e come se, senza di esso, l’azione del Rivelatore rimanesse incompleta, senza dare la pienezza della sua ragione alle coscienze in attesa. Il simbolo ferma nel pensiero un aspetto della Rivelazione, altrimenti incomprensibile e inesprimibile.
Da millenni l’uomo, abituato a pensare per immagini, porta con sé l’immagine della grotta, del rifugio scavato nella roccia, del tepore della tana nascosta donde emerse lo splendore della sua mente spirituale. La grotta, nella lingua franca della simbologia, segna l’aprirsi di nuovi cicli di umanità.
Così Gesù Cristo nasce durante il solstizio invernale, in cui veniva celebrata la nascita del Sole invitto, e nasce in una grotta che è sentita dall’uomo come il centro della rivelazione della Luce spirituale, della nascita della coscienza responsabile.
In ogni uomo è la caverna oscura dell’inconscio, la spelonca ove tutti gli atavismi, gli istinti, le forze oscure si dan convegno nella tenebra propizia della volontaria ignoranza dell’Io cosciente e responsabile. In questa caverna nasce il Redentore, Gesù Cristo, la Luce e la vera Coscienza dell’umanità.
Il mistero della notte santa si ripete continuamente per ogni uomo, ogni grotta ha il suo Fanciullo che vi nasce e la Vergine che lo depone come cibo di vita vera, sulla mensa riservata al pane. Nella grotta umana non esistono solo pulsioni di morte e di distruzione, ma anche l’attesa che qualcuno la scelga a rifugio per una nascita. L’istinto di Dio che, più forte dello stesso istinto di conservazione, superiore alla stessa sessualità, spinge l’uomo a rinnegare se stesso, a rinunciare alla carne, affinchè in lui Cristo nasca e si faccia carne, e nella caverna umana nasca l’Uomo che sente in Cristo il suo stesso principio e il suo più alto fine.
In questa visuale acquistano il loro pieno significato le parole di Angelo Silesio: «Seppure Cristo nasca mille volte a Betlem, ma non in te, tu resti perduto per l’eternità».

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