lunedì 25 novembre 2013
la Sicilia è vicina!
Ecco qua la locandina della presentazione del cammino a Ragusa, cari pellegrini siciliani vi aspetto a Caltanissetta il 28 o a Ragusa il 30, sulle locandine i dove i quando, vi aspetto!
domenica 24 novembre 2013
il papa di Crozza
Beh anche questo pezzo di Crozza è bello...mai come quello del frigorifero...io mi immagino papa Francesco che si guarda Crozza e si fa un sacco di risate.
venerdì 22 novembre 2013
Sempre sul libro della Maraini
Molto bello questo articolo del Corriere della Sera sullo splendido libro su Chiara di Dacia Maraini...solo il titolo per me non va perchè è in contrasto con ciò che la Maraini dice e che, personalmente, penso. Chiara non è "povera MA libera" E' "povera E libera" ...fa la differenza e se leggete il libro lo capite bene!
Chiara d'Assisi, povera ma libera
È un «elogio della disobbedienza», più che una biografia vera e propria, il bel libro che Dacia Maraini ( nella foto ) ha dedicato a Chiara di Assisi . Ciò che preme alla scrittrice è la possibilità di meditare su una forza di volontà così tenace da sovvertire regole che possono apparire indiscutibili. Fino a un certo punto, la ribellione di Chiara è la diretta conseguenza di quella di san Francesco, il suo grande modello. Ma il «piccolo cuore illuminista» della Maraini, ammesso il fatto, segue un'altra pista, relegando il legame con Francesco sullo sfondo e considerando Chiara alla stregua di un'artista che imprime alla materia della sua vita una forma originale e inimitabile.
È un cammino verso la più totale libertà che si fonda su uno sconcertante paradosso: con la durezza della sua vita, Chiara costruisce una prigione ancora più dura di quella condivisa da ogni donna del tredicesimo secolo. Ma nella clausura di San Damiano, assieme alle sue sorelle, la sua esistenza è effettivamente inviolabile. Si allentano contemporaneamente i lacci oppressivi del maschile, e della proprietà. La povertà volontaria è definita da Chiara, con uno di quegli aggettivi talmente illuminanti da sostituire interi trattati, «altissima»: come il tappeto magico delle fiabe, consente di librarsi al di sopra della miseria di ciò che è stabilito, che subiamo senza sapere perché. Come per Francesco, per Chiara il significato profondo della povertà è la libertà di inventare il proprio destino. Con questo libro, che per metà è un epistolario con una misteriosa interlocutrice, e per metà un diario, Dacia Maraini ha aggiunto un prezioso tassello al suo femminismo, tanto più convincente quanto più estraneo alle sirene dell'astrazione, filosofica o ancora peggio politica. Ragionando da scrittrice, è convinta che le idee, anche le più giuste, devono passare per la cruna dell'ago dell'individuo, e lì, in quel dato corpo e in quella mente, prendere quella particolare fisionomia individuale, quell'inconfondibile deformazione che le rende credibili.
È proprio questo, in fin dei conti, il contributo originale che la letteratura aggiunge agli altri saperi umani. E del resto, che senso avrebbe per la Maraini fare a gara con testi storici come quelli insuperabili di una Chiara Frugoni, o con le interpretazioni di filologi come Giovanni Pozzi ? Non c'è cosa più insopportabile del dilettantismo dello scrittore che, ammassato un certo numero di notizie dai libri «seri», si lancia in discutibili e inutili variazioni sul tema. Anche la Maraini, ovviamente, ha letto molti libri su Chiara e sui suoi tempi. Leggere, confessa a un certo punto, è la gioia suprema della sua vita. Ma se si azzarda ad affrontare un argomento come questo, non dimentica mai che il suo tipo di conoscenza del mondo si fonda sull'aleatorio, sull'imprevedibile, sull'intuizione momentanea. Sarebbe sciocco pensare che la letteratura sia «superiore» ad altri tipi di discorso sul mondo. Più semplicemente, la letteratura è quel tipo di discorso all'interno del quale, parlando di Chiara d'Assisi, il fatto di sognarla ha lo stesso valore dei libri letti su di lei. E a proposito di questi ultimi, si sa che per uno scrittore anche la scelta delle sue fonti, quando si avventura nel buio del passato, deve essere condotta con un certo spirito di finezza. Ebbene, nell'oceano bibliografico che si è trovata di fronte, la Maraini, ha scelto quello che più si addiceva al suo racconto. Si tratta degli atti del processo di canonizzazione iniziato all'indomani della morte di Chiara, avvenuta nel 1253. È un documento umanamente, oltre che storicamente, preziosissimo, perché contiene la testimonianza diretta delle monache che hanno vissuto giorno dopo giorno insieme alla santa, condividendone gli stenti e la felicità.
Ma c'è di meglio: di queste testimonianze non si conosce l'originale latino, ma una bellissima traduzione del Cinquecento fatta da un'altra monaca di clausura. È una lingua bellissima, che più che italiana andrebbe semplicemente definita umbra. La Maraini non si limita a citare estesamente questo sconosciuto capolavoro, ma lo intarsia nel suo proprio modo di scrivere con grandissima sapienza artistica, facendosi contaminare da quella lingua antica, aspra e infallibile nel nominare le cose, che siano i «sarmenti di vigna» che riempiono il pagliericcio di Chiara o l'anima «sensa macula» della santa, che si inoltra «nella clarità de la eterna luce».(Corriere della Sera)
Chiara d'Assisi, povera ma libera
È un «elogio della disobbedienza», più che una biografia vera e propria, il bel libro che Dacia Maraini ( nella foto ) ha dedicato a Chiara di Assisi . Ciò che preme alla scrittrice è la possibilità di meditare su una forza di volontà così tenace da sovvertire regole che possono apparire indiscutibili. Fino a un certo punto, la ribellione di Chiara è la diretta conseguenza di quella di san Francesco, il suo grande modello. Ma il «piccolo cuore illuminista» della Maraini, ammesso il fatto, segue un'altra pista, relegando il legame con Francesco sullo sfondo e considerando Chiara alla stregua di un'artista che imprime alla materia della sua vita una forma originale e inimitabile.
È un cammino verso la più totale libertà che si fonda su uno sconcertante paradosso: con la durezza della sua vita, Chiara costruisce una prigione ancora più dura di quella condivisa da ogni donna del tredicesimo secolo. Ma nella clausura di San Damiano, assieme alle sue sorelle, la sua esistenza è effettivamente inviolabile. Si allentano contemporaneamente i lacci oppressivi del maschile, e della proprietà. La povertà volontaria è definita da Chiara, con uno di quegli aggettivi talmente illuminanti da sostituire interi trattati, «altissima»: come il tappeto magico delle fiabe, consente di librarsi al di sopra della miseria di ciò che è stabilito, che subiamo senza sapere perché. Come per Francesco, per Chiara il significato profondo della povertà è la libertà di inventare il proprio destino. Con questo libro, che per metà è un epistolario con una misteriosa interlocutrice, e per metà un diario, Dacia Maraini ha aggiunto un prezioso tassello al suo femminismo, tanto più convincente quanto più estraneo alle sirene dell'astrazione, filosofica o ancora peggio politica. Ragionando da scrittrice, è convinta che le idee, anche le più giuste, devono passare per la cruna dell'ago dell'individuo, e lì, in quel dato corpo e in quella mente, prendere quella particolare fisionomia individuale, quell'inconfondibile deformazione che le rende credibili.
È proprio questo, in fin dei conti, il contributo originale che la letteratura aggiunge agli altri saperi umani. E del resto, che senso avrebbe per la Maraini fare a gara con testi storici come quelli insuperabili di una Chiara Frugoni, o con le interpretazioni di filologi come Giovanni Pozzi ? Non c'è cosa più insopportabile del dilettantismo dello scrittore che, ammassato un certo numero di notizie dai libri «seri», si lancia in discutibili e inutili variazioni sul tema. Anche la Maraini, ovviamente, ha letto molti libri su Chiara e sui suoi tempi. Leggere, confessa a un certo punto, è la gioia suprema della sua vita. Ma se si azzarda ad affrontare un argomento come questo, non dimentica mai che il suo tipo di conoscenza del mondo si fonda sull'aleatorio, sull'imprevedibile, sull'intuizione momentanea. Sarebbe sciocco pensare che la letteratura sia «superiore» ad altri tipi di discorso sul mondo. Più semplicemente, la letteratura è quel tipo di discorso all'interno del quale, parlando di Chiara d'Assisi, il fatto di sognarla ha lo stesso valore dei libri letti su di lei. E a proposito di questi ultimi, si sa che per uno scrittore anche la scelta delle sue fonti, quando si avventura nel buio del passato, deve essere condotta con un certo spirito di finezza. Ebbene, nell'oceano bibliografico che si è trovata di fronte, la Maraini, ha scelto quello che più si addiceva al suo racconto. Si tratta degli atti del processo di canonizzazione iniziato all'indomani della morte di Chiara, avvenuta nel 1253. È un documento umanamente, oltre che storicamente, preziosissimo, perché contiene la testimonianza diretta delle monache che hanno vissuto giorno dopo giorno insieme alla santa, condividendone gli stenti e la felicità.
Ma c'è di meglio: di queste testimonianze non si conosce l'originale latino, ma una bellissima traduzione del Cinquecento fatta da un'altra monaca di clausura. È una lingua bellissima, che più che italiana andrebbe semplicemente definita umbra. La Maraini non si limita a citare estesamente questo sconosciuto capolavoro, ma lo intarsia nel suo proprio modo di scrivere con grandissima sapienza artistica, facendosi contaminare da quella lingua antica, aspra e infallibile nel nominare le cose, che siano i «sarmenti di vigna» che riempiono il pagliericcio di Chiara o l'anima «sensa macula» della santa, che si inoltra «nella clarità de la eterna luce».(Corriere della Sera)
mercoledì 20 novembre 2013
Che capolavoro!
Caro professore,
lei dovrà insegnare al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità;
ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c’è un eroe, per ogni egoista c’è un leader generoso.
Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico
e che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata.
Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall’invidia
e gli faccia riconoscere l’allegria profonda di un sorriso silenzioso.
Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma anche distrarsi con gli uccelli nel cielo,
i fiori nei campi, le colline e le valli.
Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria,
gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti.
Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e
a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri.
Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo.
Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono.
Gli insegni ad ignorare le folle che chiedono sangue e a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver ragione.
Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l’acciaio.
Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso.
Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore ed anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini.
So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro.
(ABRAHAM LINCOLN)
lei dovrà insegnare al mio ragazzo che non tutti gli uomini sono giusti, non tutti dicono la verità;
ma la prego di dirgli pure che per ogni malvagio c’è un eroe, per ogni egoista c’è un leader generoso.
Gli insegni, per favore, che per ogni nemico ci sarà anche un amico
e che vale molto più una moneta guadagnata con il lavoro che una moneta trovata.
Gli insegni a perdere, ma anche a saper godere della vittoria, lo allontani dall’invidia
e gli faccia riconoscere l’allegria profonda di un sorriso silenzioso.
Lo lasci meravigliare del contenuto dei suoi libri, ma anche distrarsi con gli uccelli nel cielo,
i fiori nei campi, le colline e le valli.
Nel gioco con gli amici, gli spieghi che è meglio una sconfitta onorevole di una vergognosa vittoria,
gli insegni a credere in se stesso, anche se si ritrova solo contro tutti.
Gli insegni ad essere gentile con i gentili e duro con i duri e
a non accettare le cose solamente perché le hanno accettate anche gli altri.
Gli insegni ad ascoltare tutti ma, nel momento della verità, a decidere da solo.
Gli insegni a ridere quando è triste e gli spieghi che qualche volta anche i veri uomini piangono.
Gli insegni ad ignorare le folle che chiedono sangue e a combattere anche da solo contro tutti, quando è convinto di aver ragione.
Lo tratti bene, ma non da bambino, perché solo con il fuoco si tempera l’acciaio.
Gli faccia conoscere il coraggio di essere impaziente e la pazienza di essere coraggioso.
Gli trasmetta una fede sublime nel Creatore ed anche in se stesso, perché solo così può avere fiducia negli uomini.
So che le chiedo molto, ma veda cosa può fare, caro maestro.
(ABRAHAM LINCOLN)
Il Cammino di San Benedetto sul Corriere della Sera!
Per quelli che non l'hanno già visto sul Corriere della Sera ecco l'articolo sul Cammino...io aggiungo e' un gran bell'articolo...parola dell' "Angelo n° 1" e, parafrasando un commento nella pagina del "Cammino di San Benedetto" che vorrebbe Simone "Santo subito", beh...che paradiso sui cammini fra santi e angeli!! Grazie Simone grazie Corriere della Sera sempre molto attento ai Cammini!
Cari amici,
Ecco uscito l'atteso articolo del Corriere della Sera sul Cammino di San Benedetto. E' senza dubbio un bell'articolo, che promuove il Cammino; e il massimo risalto è dato, giustamente, ai luoghi e alle persone che hanno contribuito alla sua realizzazione. Soltanto, per evitare equivoci, tenevo a precisare alcuni aspetti a mio parere non sufficientemente chiari, che potrebbero creare fraintendimenti allo spirito stesso del Cammino. Sulla "possibilità d'inventarsi un lavoro": non si riferisce a me, com'è detto più sotto io sono insegnante di religione cattolica; ma invece a coloro, e sono ormai sempre più, che si sono creati un'attività legata al passaggio dei pellegrini, con l'apertura, ad esempio, di nuovi bed & breakfast o affittacamere. Pur dedicando al Cammino di San Benedetto il tempo libero, e infinite ore di sonno, non si tratta di un lavoro in senso proprio, non essendo fonte di reddito. Al contrario, tutte quante le spese sostenute perchè il Cammino esistesse (dai numerosi viaggi, fino alla vernice e i pennelli con cui sono andato a segnare i sentieri), ho fatto tutto di tasca mia, e solamente in parte ciò è stato compensato dai diritti d'autore sulla guida. Non essendoci peraltro un'associazione del Cammino di San Benedetto, nè sapendo se ne avrei mai fondata una, ho ritenuto fin dall'inizio che le offerte per le Credenziali andassero a favore dell'Associazione "Amici del Cammino Di qui passò Francesco", sostenendo in questo modo un'associazione di cui condivido lo spirito e che si è data particolarmente da fare per richiamare pellegrini dall'Italia e dal Mondo sui nostri bei Cammini italiani. Da qui anche la scelta di creare una Credenziale comune a entrambi i Cammini. Ora, le necessità di mantenere e migliorare il Cammino rendono necessaria la costituzione di un'associazione degli amici del Cammino di San Benedetto, cosa che sta avvenendo, e in futuro le eventuali donazioni sosterranno anche praticamente questo Cammino: ma fino ad oggi si è fatto tutto grazie all'impegno e alla buona volontà di tanti amici, tra cui alcuni di quelli citati nell'articolo. Confesso che, quando questo progetto è cominciato, poco più di un anno fa, non mi aspettavo che fosse accolto con tanto favore...per me, tutto questo continua a essere motivo di stupore. Certo, non posso assolutamente pensare che tutto questo sia frutto del caso. Senza offesa, lì l'articolo ha proprio "toppato". Il caso, il fato, il destino, esisteva per i pagani. Per i cristiani, quel caso si chiama Provvidenza. Ecco. Per il resto, perfetto.
P.S. Mi scuso con voi per aver sbattuto la mia faccia in prima pagina. Sappiate che non è stata una mia scelta... :-) Un caro saluto a tutti i pellegrini!
Ecco uscito l'atteso articolo del Corriere della Sera sul Cammino di San Benedetto. E' senza dubbio un bell'articolo, che promuove il Cammino; e il massimo risalto è dato, giustamente, ai luoghi e alle persone che hanno contribuito alla sua realizzazione. Soltanto, per evitare equivoci, tenevo a precisare alcuni aspetti a mio parere non sufficientemente chiari, che potrebbero creare fraintendimenti allo spirito stesso del Cammino. Sulla "possibilità d'inventarsi un lavoro": non si riferisce a me, com'è detto più sotto io sono insegnante di religione cattolica; ma invece a coloro, e sono ormai sempre più, che si sono creati un'attività legata al passaggio dei pellegrini, con l'apertura, ad esempio, di nuovi bed & breakfast o affittacamere. Pur dedicando al Cammino di San Benedetto il tempo libero, e infinite ore di sonno, non si tratta di un lavoro in senso proprio, non essendo fonte di reddito. Al contrario, tutte quante le spese sostenute perchè il Cammino esistesse (dai numerosi viaggi, fino alla vernice e i pennelli con cui sono andato a segnare i sentieri), ho fatto tutto di tasca mia, e solamente in parte ciò è stato compensato dai diritti d'autore sulla guida. Non essendoci peraltro un'associazione del Cammino di San Benedetto, nè sapendo se ne avrei mai fondata una, ho ritenuto fin dall'inizio che le offerte per le Credenziali andassero a favore dell'Associazione "Amici del Cammino Di qui passò Francesco", sostenendo in questo modo un'associazione di cui condivido lo spirito e che si è data particolarmente da fare per richiamare pellegrini dall'Italia e dal Mondo sui nostri bei Cammini italiani. Da qui anche la scelta di creare una Credenziale comune a entrambi i Cammini. Ora, le necessità di mantenere e migliorare il Cammino rendono necessaria la costituzione di un'associazione degli amici del Cammino di San Benedetto, cosa che sta avvenendo, e in futuro le eventuali donazioni sosterranno anche praticamente questo Cammino: ma fino ad oggi si è fatto tutto grazie all'impegno e alla buona volontà di tanti amici, tra cui alcuni di quelli citati nell'articolo. Confesso che, quando questo progetto è cominciato, poco più di un anno fa, non mi aspettavo che fosse accolto con tanto favore...per me, tutto questo continua a essere motivo di stupore. Certo, non posso assolutamente pensare che tutto questo sia frutto del caso. Senza offesa, lì l'articolo ha proprio "toppato". Il caso, il fato, il destino, esisteva per i pagani. Per i cristiani, quel caso si chiama Provvidenza. Ecco. Per il resto, perfetto.
P.S. Mi scuso con voi per aver sbattuto la mia faccia in prima pagina. Sappiate che non è stata una mia scelta... :-) Un caro saluto a tutti i pellegrini!
...dal letame nascono i fior!
Questa è una storia bellissima che fa bene al cuore specialmente di prima mattina...l'ho trovata sulla pagina facebook di "gli invisibili"...ero andata a vedere gli ultimi loro posts perchè la storia dell' innacessibilità ai disabili alla tomba di Francesco non è finita...poi vi dirò a suo tempo.
Leggete qui sotto, vi farà bene al cuore:
Leggete qui sotto, vi farà bene al cuore:
Da rapinatore a missionario
08 Novembre 2013
di Riccardo Rossi, ora è missionario a Bucarest.
Da rapinatore a missionario
La storia di Santo Strano, un uomo di quarantasette anni, catanese doc, sembra incredibile: era un rapinatore incallito, tanto che per i suoi numerosi reati ha scontato vent’anni di carcere.
Santo si trovava nella prigione di San Gimignano (Siena), quando conobbe una volontaria che visitava i detenuti, Anna Pulitini, dell’associazione Papa santo nei campi 2Giovanni XXIII, che lo colpì molto. Iniziò tra i due un rapporto fraterno e un giorno Santo notò che la volontaria era piena di lividi e domandò cosa le fosse successo. Anna rispose che era stata picchiata da un ragazzo che ospitava, nelle case dei volontari della Papa Giovanni XXIII, i missionari accolgono persone in difficoltà. Santo ne fu molto scosso, non immaginava che qualcuno potesse incarnare così seriamente il messaggio del vangelo e ospitare persone problematiche a casa propria. L’uomo fu trasferito in Sicilia, gli rimanevano diversi anni di galera ancora, ma qualcosa in lui era cambiato.
Rimase in contatto con la volontaria e quando nel 2006 uscì dal penitenziario, chiese ai responsabili della Papa Giovanni XXIII in Sicilia un lavoro onesto, per dare un taglio netto con il passato. Dopo un periodo di prova, Santo fu assunto in una cooperativa catanese della Papa Giovanni XXIII, dopo pochi giorni gli arrivò un nuovo provvedimento del Tribunale, doveva prestare servizio obbligatorio, per ventidue giorni, in un’attività di volontariato. Egli decise di dedicarsi a dei ragazzi disabili mentali che trascorrevano il loro tempo pomeridiano al centro di aggregazione della Papa Giovanni XXIII. Questa nuova esperienza cambiò ancora Santo che decise, dopo il periodo forzato, di trascorrere in suoi pomeriggi, questa volta da volontario, con i ragazzi disabili.
Santo maturò in sé una nuova scelta, voleva dedicarsi ai più deboli, agli emarginati e chiese di diventare membro dell’associazione Papa Giovanni XXIII . Dopo un anno di verifica vocazionale, nel 2008, diventò a tutti gli effetti un volontario a tempo pieno, la mattina continuava a lavorare nella cooperativa come contadino e il pomeriggio, dal lunedì al venerdì, animava il centro di aggregazione. Inoltre venne nominato tutore per i ragazzi che venivano dal carcere nella comunità Papa Giovanni XXIII, per garantire i loro progressi. Dopo qualche anno il lavoro in cooperativa era sempre meno e il centro di aggregazione doveva essere chiuso. Nonostante egli stesse perdendo il lavoro e il suo impegno di volontario, era sereno, dimorava in lui la convinzione che il Signore gli avrebbe trovato una nuova strada. “ Era il 26 agosto del 2012, - spiega Santo Strano- quando venne a Catania il responsabile nazionale delle Papa Giovanni XIII, cercava un volontario di sesso maschile da inviare in missione in una casa famiglia a Bucarest in Romania. Ho avvertito che dovevo essere io quel volontario e mi sono offerto di partire, dopo tre giorni, senza sapere nulla di dove andavo e non conoscendo una parola di romeno, ero in terra straniera” Egli è ancora oggi in Romania, ed è il capo famiglia di un nucleo speciale, composto di santo soloaltri cinque uomini, chi pensionato, chi bisognoso di un tetto. Ogni giorno Santo si occupa di questa famiglia particolare e siccome in questo momento gli accolti sono molto collaborativi, si può dedicare a tre famiglie disagiate e ad altre sette persone che una volta erano nella casa protetta con lui. Porta a questi altri nuclei familiari la spesa, quando occorre paga loro le bollette e sbriga faccende burocratiche. Santo svolge anche servizio in strada, assieme ai frati missionari della carità (ramo maschile dell’ordine religioso creato da Madre Teresa) va ad incontrare i tanti poveri di Bucarest. Scende anche nei cunicoli sotterranei di Bucarest, dove vivono centinaia di persone, per offrire qualcosa da mangiare e dare l’opportunità di una vita diversa. Chi, dei senza dimora, accetta quest’aiuto, dopo una verifica sulle reali motivazioni, è accolto o dai frati della carità o da una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII. Santo proprio non riesce a stare inoperoso e una volta a settimana aiuta i bambini a fare i compiti. Ha tanti progetti per assistere altre persone, vuole aprire una nuova casa famiglia per sostenere le ragazze madri. Santo è la prova di ciò che diceva Appio Claudio: ognuno è artefice del proprio destino. E noi, cosa stiamo aspettando per aiutare chi è in difficoltà?
Riccardo Rossi
- See more at: http://www.goleminformazione.it/articoli/santo-strano-casa-familgia-associazione-giovanni-xxiii.html#sthash.DsyzyvyG.vWdjhmSF.dpuf
08 Novembre 2013
di Riccardo Rossi, ora è missionario a Bucarest.
Da rapinatore a missionario
La storia di Santo Strano, un uomo di quarantasette anni, catanese doc, sembra incredibile: era un rapinatore incallito, tanto che per i suoi numerosi reati ha scontato vent’anni di carcere.
Santo si trovava nella prigione di San Gimignano (Siena), quando conobbe una volontaria che visitava i detenuti, Anna Pulitini, dell’associazione Papa santo nei campi 2Giovanni XXIII, che lo colpì molto. Iniziò tra i due un rapporto fraterno e un giorno Santo notò che la volontaria era piena di lividi e domandò cosa le fosse successo. Anna rispose che era stata picchiata da un ragazzo che ospitava, nelle case dei volontari della Papa Giovanni XXIII, i missionari accolgono persone in difficoltà. Santo ne fu molto scosso, non immaginava che qualcuno potesse incarnare così seriamente il messaggio del vangelo e ospitare persone problematiche a casa propria. L’uomo fu trasferito in Sicilia, gli rimanevano diversi anni di galera ancora, ma qualcosa in lui era cambiato.
Rimase in contatto con la volontaria e quando nel 2006 uscì dal penitenziario, chiese ai responsabili della Papa Giovanni XXIII in Sicilia un lavoro onesto, per dare un taglio netto con il passato. Dopo un periodo di prova, Santo fu assunto in una cooperativa catanese della Papa Giovanni XXIII, dopo pochi giorni gli arrivò un nuovo provvedimento del Tribunale, doveva prestare servizio obbligatorio, per ventidue giorni, in un’attività di volontariato. Egli decise di dedicarsi a dei ragazzi disabili mentali che trascorrevano il loro tempo pomeridiano al centro di aggregazione della Papa Giovanni XXIII. Questa nuova esperienza cambiò ancora Santo che decise, dopo il periodo forzato, di trascorrere in suoi pomeriggi, questa volta da volontario, con i ragazzi disabili.
Santo maturò in sé una nuova scelta, voleva dedicarsi ai più deboli, agli emarginati e chiese di diventare membro dell’associazione Papa Giovanni XXIII . Dopo un anno di verifica vocazionale, nel 2008, diventò a tutti gli effetti un volontario a tempo pieno, la mattina continuava a lavorare nella cooperativa come contadino e il pomeriggio, dal lunedì al venerdì, animava il centro di aggregazione. Inoltre venne nominato tutore per i ragazzi che venivano dal carcere nella comunità Papa Giovanni XXIII, per garantire i loro progressi. Dopo qualche anno il lavoro in cooperativa era sempre meno e il centro di aggregazione doveva essere chiuso. Nonostante egli stesse perdendo il lavoro e il suo impegno di volontario, era sereno, dimorava in lui la convinzione che il Signore gli avrebbe trovato una nuova strada. “ Era il 26 agosto del 2012, - spiega Santo Strano- quando venne a Catania il responsabile nazionale delle Papa Giovanni XIII, cercava un volontario di sesso maschile da inviare in missione in una casa famiglia a Bucarest in Romania. Ho avvertito che dovevo essere io quel volontario e mi sono offerto di partire, dopo tre giorni, senza sapere nulla di dove andavo e non conoscendo una parola di romeno, ero in terra straniera” Egli è ancora oggi in Romania, ed è il capo famiglia di un nucleo speciale, composto di santo soloaltri cinque uomini, chi pensionato, chi bisognoso di un tetto. Ogni giorno Santo si occupa di questa famiglia particolare e siccome in questo momento gli accolti sono molto collaborativi, si può dedicare a tre famiglie disagiate e ad altre sette persone che una volta erano nella casa protetta con lui. Porta a questi altri nuclei familiari la spesa, quando occorre paga loro le bollette e sbriga faccende burocratiche. Santo svolge anche servizio in strada, assieme ai frati missionari della carità (ramo maschile dell’ordine religioso creato da Madre Teresa) va ad incontrare i tanti poveri di Bucarest. Scende anche nei cunicoli sotterranei di Bucarest, dove vivono centinaia di persone, per offrire qualcosa da mangiare e dare l’opportunità di una vita diversa. Chi, dei senza dimora, accetta quest’aiuto, dopo una verifica sulle reali motivazioni, è accolto o dai frati della carità o da una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII. Santo proprio non riesce a stare inoperoso e una volta a settimana aiuta i bambini a fare i compiti. Ha tanti progetti per assistere altre persone, vuole aprire una nuova casa famiglia per sostenere le ragazze madri. Santo è la prova di ciò che diceva Appio Claudio: ognuno è artefice del proprio destino. E noi, cosa stiamo aspettando per aiutare chi è in difficoltà?
Riccardo Rossi
- See more at: http://www.goleminformazione.it/articoli/santo-strano-casa-familgia-associazione-giovanni-xxiii.html#sthash.DsyzyvyG.vWdjhmSF.dpuf
domenica 17 novembre 2013
Non sono i miei gatti ma....
potrebbero esserlo anche se i miei non si farebbero mai impilare anche solo per una foto...ne mancherebbe uno comunque, io ne ho otto di bei gattoni!
Tutte le volte che do loro da mangiare, e i sacchi di croccantini vanno che è un piacere, penso con riconoscenza ad una di voi...non la nomino perchè magari non vorrebbe, che mi ha mandato un incredibile regalo in denaro per il loro mantenimento qualche mese fa. Che cosa splendida, che pensiero carino, che gentilezza nata dal mio tanto parlare di loro nel mio blog! Inaspettata e bella come tutte le sorprese che arrivano da qualcuno di cuore. Beh, carissima benefattrice, anche se non ci si sente sappi che io a nome di tutti loro, miagolo e ronfo di riconoscenza...ogni volta che do loro da mangiare...loro non lo sanno ma io sì che questo è un regalo per loro e per me gattara circondata da fagottoni pelosi. Ora che chiudo la porta di cucina e ho ripristinato la toilette per loro in casa, la sera stanno dappertutto e il piccolino, il ragazzetto Paté, ha cominciato a venirmi in braccio sul divano suscitando le gelosie della decana Benny, così siamo arrivati ad un compromesso: Benny sulle ginocchia e Patè di lato sul divano appoggiato con le zampine sulla coscia...Benny però gli volta il sedere e fa finta che non ci sia. Le carezze ora sono a due mani e la televisione la guardo con il riposante ronfare che fa da sottofondo...grazie amica benefattrice, ti aspettiamo tutti, pelosi e non ad Assisi!
Tutte le volte che do loro da mangiare, e i sacchi di croccantini vanno che è un piacere, penso con riconoscenza ad una di voi...non la nomino perchè magari non vorrebbe, che mi ha mandato un incredibile regalo in denaro per il loro mantenimento qualche mese fa. Che cosa splendida, che pensiero carino, che gentilezza nata dal mio tanto parlare di loro nel mio blog! Inaspettata e bella come tutte le sorprese che arrivano da qualcuno di cuore. Beh, carissima benefattrice, anche se non ci si sente sappi che io a nome di tutti loro, miagolo e ronfo di riconoscenza...ogni volta che do loro da mangiare...loro non lo sanno ma io sì che questo è un regalo per loro e per me gattara circondata da fagottoni pelosi. Ora che chiudo la porta di cucina e ho ripristinato la toilette per loro in casa, la sera stanno dappertutto e il piccolino, il ragazzetto Paté, ha cominciato a venirmi in braccio sul divano suscitando le gelosie della decana Benny, così siamo arrivati ad un compromesso: Benny sulle ginocchia e Patè di lato sul divano appoggiato con le zampine sulla coscia...Benny però gli volta il sedere e fa finta che non ci sia. Le carezze ora sono a due mani e la televisione la guardo con il riposante ronfare che fa da sottofondo...grazie amica benefattrice, ti aspettiamo tutti, pelosi e non ad Assisi!
Una splendida giornata!
E' bella la scusa: "Raffaella non conosce Cortona...ci si può andare a fare una gitarella." E' bello avere una compagna di viaggio con cui si condivide tanto: la curiosità, l'amore per l'arte, il "mondo francescano", la passione per i viaggi...insomma ora ho una splendida scusa per mettere il naso fuori Assisi e far scoprire a lei, luoghi nei dintorni che conosco, e scoprine insieme nuovi che, pur vicini, non ho mai visto. Così ieri, con la somarella sempre fida, siamo andate a Cortona e alle splendide Celle, Giornata ventosa, tirava la tramontana che spazzava il cielo, su una panchina fuori la chiesa di Santa Margherita una frase molto bella della grande Alda Merini che suona così, non ricordo le parole esatte: "Nessun pettine migliore del vento mi ha mai pettinato" ed era proprio in tono con la giornata!
Belle le Celle al tramonto e buona la "ribollita" che tanto mi ricorda Marisa...grazie Raffaella e...viva l'Italia che è tanto bella nonostante facciamo di tutto per imbruttirla!
venerdì 15 novembre 2013
martedì 12 novembre 2013
questa la premessa...
della scenetta di Crozza del frigo sulle spalle di papa Francesco...sulla mia pagina di facebook c'è stata una gran discussione innescata da una persona che ce l'ha su con Crozza...beh questa premessa spiega molto bene la scenetta e...il grande amore di Crozza per il papa, buona visione!Grande Maurizio!
lunedì 11 novembre 2013
Cuore Sacro
Raffaella, questa nuova amica con cui ho molto in comune, mi ha fatto scoprire un film splendido che mi ero persa, è del 2005 e, forse, molti di voi l'hanno visto...Io che ero una cinefila accanita, nella mia prima permanenza in Inghilterra saltavo i pasti per avere i soldi per andare al cinema, arte che ritengo sia l'arte figurativa del nostro tempo poi, prima sulle Dolomiti e ora qui per la lontananza dai cinema è anni che mi perdo tutto, questo film me lo sono proprio perso! Sto parlando di "CUORE SACRO" Bello tutto: fantastica fotografia, ottima musica, attori bravissimi, la protagonista è speciale ma, quello che più conta, un tema attualissimo trattato con un garbo e una finezza veramente speciale. E allora grazie Ferzan Ozpetek...era da quando vidi "Film Blu" che non uscivo da un film senza veramente uscirci e...grazie Raffaella per avermelo fatto vedere!....E chi non lo ha visto se lo vada a cercare...non se ne pentirà!
San Martino
RICORDANDO GLI AMICI DELLA "MIA" SAN MARTINO...IL PAESELLO DOLOMITICO CHE AVRO' SEMPRE NEL CUORE...qui piove e piove, niente estate di San Martino ma, del resto, non fa freddo e ricordo dei San Martino con la neve "lassù fra i monti e le valli d'or"...
Qui sotto la sua storia....buon San Martino a tutti!
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora "il Dio che si adora nelle città". Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
Qui sotto la sua storia....buon San Martino a tutti!
Quattromila chiese dedicate a lui in Francia, e il suo nome dato a migliaia di paesi e villaggi; come anche in Italia, in altre parti d’Europa e nelle Americhe: Martino il supernazionale. Nasce in Pannonia (che si chiamerà poi Ungheria) da famiglia pagana, e viene istruito sulla dottrina cristiana quando è ancora ragazzo, senza però il battesimo. Figlio di un ufficiale dell’esercito romano, si arruola a sua volta, giovanissimo, nella cavalleria imperiale, prestando poi servizio in Gallia. E’ in quest’epoca che può collocarsi l’episodio famosissimo di Martino a cavallo, che con la spada taglia in due il suo mantello militare, per difendere un mendicante dal freddo.
Lasciato l’esercito nel 356, raggiunge a Poitiers il dotto e combattivo vescovo Ilario: si sono conosciuti alcuni anni prima. Martino ha già ricevuto il battesimo (probabilmente ad Amiens) e Ilario lo ordina esorcista: un passo sulla via del sacerdozio. Per la sua posizione di prima fila nella lotta all’arianesimo, che aveva il sostegno della Corte, il vescovo Ilario viene esiliato in Frigia (Asia Minore); e quanto a Martino si fatica a seguirne la mobilità e l’attivismo, anche perché non tutte le notizie sono ben certe.
Fa probabilmente un viaggio in Pannonia, e verso il 356 passa anche per Milano. Più tardi lo troviamo in solitudine alla Gallinaria, un isolotto roccioso davanti ad Albenga, già rifugio di cristiani al tempo delle persecuzioni. Di qui Martino torna poi in Gallia, dove riceve il sacerdozio dal vescovo Ilario, rimpatriato nel 360 dal suo esilio. Un anno dopo fonda a Ligugé (a dodici chilometri da Poitiers) una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa.
Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell’altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Di qui intraprende la sua missione, ultraventennale azione per cristianizzare le campagne: per esse Cristo è ancora "il Dio che si adora nelle città". Non ha la cultura di Ilario, e un po’ rimane il soldato sbrigativo che era, come quando abbatte edifici e simboli dei culti pagani, ispirando più risentimenti che adesioni. Ma l’evangelizzazione riesce perché l’impetuoso vescovo si fa protettore dei poveri contro lo spietato fisco romano, promuove la giustizia tra deboli e potenti. Con lui le plebi rurali rialzano la testa. Sapere che c’è lui fa coraggio. Questo spiega l’enorme popolarità in vita e la crescente venerazione successiva.
Quando muore a Candes, verso la mezzanotte di una domenica, si disputano il corpo gli abitanti di Poitiers e quelli di Tours. Questi ultimi, di notte, lo portano poi nella loro città per via d’acqua, lungo i fiumi Vienne e Loire. La sua festa si celebrerà nell’anniversario della sepoltura, e la cittadina di Candes si chiamerà Candes-Saint-Martin.
domenica 10 novembre 2013
Crozza è unico!
Me lo ero perso e l'ho trovato ieri...veramente bello! Mi sa che l'abbia visto anche Papa Francesco e penso proprio che gli sia piaciuto.
giovedì 7 novembre 2013
Chiara d'Assisi di Dacia Maraini
Ho scoperto questo libro girellando per Venezia meno di un mese fa, ne ho comperato due copie: una per me e una per Manuela la mia ospite, così, a scatola chiusa perchè attirata inesorabilmente dalla quarta di copertina che riporto qui:
È la storia di un incontro, questo libro intimo e provocatorio: tra una grande scrittrice che ha fatto della parola il proprio strumento per raccontare la realtà e una donna intelligente e volitiva a cui la parola è stata negata. Non potrebbero essere più diverse, Dacia Maraini e Chiara di Assisi, la santa che nella grande Storia scritta dagli uomini ha sempre vissuto all’ombra di Francesco. Eppure sono indissolubilmente legate dal bisogno di esprimere sempre la propria voce. Chiara ha dodici anni appena quando vede “il matto” di Assisi spogliarsi davanti al vescovo e alla città. È bella, nobile e destinata a un ottimo matrimonio, ma quel giorno la sua vita si accende del fuoco della chiamata: seguirà lo scandaloso trentenne dalle orecchie a sventola e si ritirerà dal mondo per abbracciare, nella solitudine di un’esistenza quasi carceraria, la povertà e la libertà di non possedere. Sta tutta qui la disobbedienza di Chiara, in questo strappo creativo alle convenzioni di un’epoca declinata al maschile. Perché, ieri come oggi, avere coraggio significa per una donna pensare e scegliere con la propria testa, anche attraverso un silenzio nutrito di idee. In questo racconto, che a volte si fa scontro appassionato, segnato da sogni e continue domande, Dacia Maraini traccia per noi il ritratto vivido di una Chiara che prima è donna, poi santa dal corpo tormentato ma felice: una creatura che ha saputo dare vita a un linguaggio rivoluzionario e superare le regole del suo tempo per seguirne una, la sua.
Solo da due giorni lo sto leggendo e non riesco a metterlo giù....e, come la Maraini, mi sveglio di notte e leggo, mi sveglio la mattina e...leggo...perchè è un gran bel libro...anche alla Maraini piace tanto la Frugoni (c'era da dubitarlo?!) ma vi aggiunge un'analisi psicologica molto profonda...è inutile, l'ho sempre detto, di una donna deve scrivere una donna salvo rarissime eccezioni e di Chiara si sa sempre quello che ne hanno detto gli uomini o le filo versione maschile...con quella storia infinita della "Pianticella" all'ombra del grande uomo...come dico sempre lei era un "quercione" nata pianticella e divenuta un grande e possente albero.
Vi consiglio questo libro e....non dormirete nemmeno voi!
È la storia di un incontro, questo libro intimo e provocatorio: tra una grande scrittrice che ha fatto della parola il proprio strumento per raccontare la realtà e una donna intelligente e volitiva a cui la parola è stata negata. Non potrebbero essere più diverse, Dacia Maraini e Chiara di Assisi, la santa che nella grande Storia scritta dagli uomini ha sempre vissuto all’ombra di Francesco. Eppure sono indissolubilmente legate dal bisogno di esprimere sempre la propria voce. Chiara ha dodici anni appena quando vede “il matto” di Assisi spogliarsi davanti al vescovo e alla città. È bella, nobile e destinata a un ottimo matrimonio, ma quel giorno la sua vita si accende del fuoco della chiamata: seguirà lo scandaloso trentenne dalle orecchie a sventola e si ritirerà dal mondo per abbracciare, nella solitudine di un’esistenza quasi carceraria, la povertà e la libertà di non possedere. Sta tutta qui la disobbedienza di Chiara, in questo strappo creativo alle convenzioni di un’epoca declinata al maschile. Perché, ieri come oggi, avere coraggio significa per una donna pensare e scegliere con la propria testa, anche attraverso un silenzio nutrito di idee. In questo racconto, che a volte si fa scontro appassionato, segnato da sogni e continue domande, Dacia Maraini traccia per noi il ritratto vivido di una Chiara che prima è donna, poi santa dal corpo tormentato ma felice: una creatura che ha saputo dare vita a un linguaggio rivoluzionario e superare le regole del suo tempo per seguirne una, la sua.
Solo da due giorni lo sto leggendo e non riesco a metterlo giù....e, come la Maraini, mi sveglio di notte e leggo, mi sveglio la mattina e...leggo...perchè è un gran bel libro...anche alla Maraini piace tanto la Frugoni (c'era da dubitarlo?!) ma vi aggiunge un'analisi psicologica molto profonda...è inutile, l'ho sempre detto, di una donna deve scrivere una donna salvo rarissime eccezioni e di Chiara si sa sempre quello che ne hanno detto gli uomini o le filo versione maschile...con quella storia infinita della "Pianticella" all'ombra del grande uomo...come dico sempre lei era un "quercione" nata pianticella e divenuta un grande e possente albero.
Vi consiglio questo libro e....non dormirete nemmeno voi!
domenica 3 novembre 2013
Sono andata ad Ananda...
C'è da ridere, è 8 anni e mezzo che vivo ad Assisi e non c'ero mai andata, non riuscivo a trovare una motivazione per andarci e qui sta il ridicolo perchè, il primo libro di spiritualità orientale che abbia mai letto, fu nel 1973 quel "Autobiografia di uno Yogi" di Parahamansa Yogananda che mi aprì ad un mondo tutto nuovo per me dell'oriente e, allo stesso tempo, mi aprì verso quella "Coscienza Cristica" che mi ributtava alle mie radici Cristiane...e sapete perchè non c'ero mai andata? Per pregiudizio (oibò pure io?!?) pensavo che fosse una "americanata" una delle tante comunità che ho visitato per anni in India e non dove il "vogliamoci bene e sorridiamo tanto" pare la sola cosa che c'è...
Beh oggi sono andata lì con Raffaella, che ben conosce il posto e l'ambiente, e sono rimasta piacevolmente sorpresa e quello che mi rimane da questa giornata spesa là è un gran serenità e una clamorosa uscita dal mio pregiudizio (fuiiii questo l'ho superato!). Bello il posto, bella l'atmosfera in cui non ti si chiede chi sei e perchè sei lì, dove nessuno (Deo Gratias) ti vuole "convertire" dove il cuore di tutto è la meditazione, la preghiera e la gratitudine. Il video che ho messo qui dice di come fu costruita questa "comunità Ananda" il suo fondatore è andato in Cielo da poco e me lo sono perso...haimè (i pregiudizi fanno perdere le opportunità così come lo fa qualsiasi tipo di paura), non dice molto di Jogananda e del suo pensiero...andatevelo a cercare!
Penso che ci tornerò, così, perchè tutto ciò che è buono, tutto quello che porta a Dio mi attira...
Ho pure mangiato molto bene, cibo vegetariano fatto con Amore (lo so distinguere...mi è venuta in mente "La Perfetta Letizia") e mi è venuta ancora più "voglia" dell'ostello e chiedo a tutti voi di concentrarvi interiormente per la Ruah, di pregare perchè accada...e accadrà!
sabato 2 novembre 2013
il buon morire
Io non ho il culto dei morti, non amo i cimiteri se si fa eccezione di alcuni storici come quello di Parigi e di Londra che è come passare attraverso la storia e l'arte di secoli. So che a chi è andato al cimiterino si Sasso Marconi, di San Leo, la tomba di mia mamma sembrerà una tomba abbandonata...e lo è....mia mamma è un angelo come lo era già in vita...non è lì...non parliamo di quella di mio papà nella zona monumentale del cimitero di Ravenna...già da piccola non capivo perchè mi ci portassero, guardavo quella foto del mio papà, che tanto mi somigliava, e pensavo: "Che strani i grandi...perchè veniamo qui? Papà non è qui!" E mi resta di quelle andate in bicicletta e dell 'indaffararsi di mia mamma la malinconia dell'odore dell'acqua stagnante nei vasi mista a quello delle raffinerie di là dal Canale Corsini...l'acqua morta dei vasi per me, da da allora, odora di cimitero e di assurdità.
Fatta questa premessa vi voglio raccontare una storia legata alla morte per me molto bella e piena di luce, me l'ha raccontata Eugenia. Sua suocera, la mamma di Gendun, tibetana, è morta a 88 anni qualche tempo fa, mi sembra in settembre, lunga e difficile vita la sua con un marito ex funzionario del Dalai lama che al tempo dell'invasione cinese fu messo in prigione per tantissimi anni e torturato...come potete immaginare...quando uscì lei rimase incinta di Gendun, l'ultimo figlio gli altri erano nati prima della prigione del marito che morì dopo poco a seguito di tutte le sofferenze patite. Lei si fece monaca pur rimanendo a vivere in casa e, anche lei, subì la prigione. A 88 anni piena di vita e di positività voleva andarsene, la sua vita l'aveva vissuta fino all'ultima goccia, un grande lama qualche tempo fa fece per lei le pratiche per una buona morte e, quando la sua ora è giunta lei lo doveva sapere perchè 3 giorni prima si è messa a digiunare per prepararsi.
Il funerale è stato quello celeste, lo smembramento rituale del corpo perchè sia dato in pasto agli uccelli.
Lo so che a molti di voi questa sembrerà una pratica molto macabra ma là, a due passi dal cielo, non lo è. Ho visto un cimitero celeste ai pedi del Kailash ed è stata una delle esperienze di pace più profonde della mia vita tant'è che al ritorno al campo, c'ero andata da sola, dissi alla guida tibetana: "Se domani facendo il giro del Kailash dovessi morire fa in modo che mi smembrino..." Lui mi rispose che i cinesi non lo avrebbero permesso ma che avrebbe fatto in modo di portarmi nella valle degli Sherpa, in Nepal, dove lo avrebbero fatto...
Eugenia diceva che il funerale in Tibet dipende dal tuo oroscopo, (Adesso non immaginate l'oroscopo dei giornali) dipende se sei di: fuoco, aria, acqua o terra...lei era d'aria (io sono di fuoco deve essere per questo che voglio ASSOLUTAMENTE essere cremata!) lei è volata in cielo con gli uccelli.
Così, lei è stata smembrata dai monaci che lo fanno recitando preghiere e con una tecnica tutta particolare e sono stati contati 176 avvoltoi che sono arrivati e due aquile bianche che si sono spartiti il cuore. Gendun diceva che è un segno bellissimo che indica come lei fosse una grande anima, pare che a chi è stato una brutta persona gli uccelli non arrivino o pochi...come se anche la carne fosse inquinata.
Gendun e i fratelli sono stati felici di questa buona morte...in fondo, che si può desiderare di più! Una lunga vita compiuta, i tuoi cari attorno a te, il tuo corpo che ritorna in ciclo, che alimenta delle creature come tu hai alimentato tutti per tutta la vita...bello, non puzza di acqua stagnante e di raffineria...almeno per me!
Fatta questa premessa vi voglio raccontare una storia legata alla morte per me molto bella e piena di luce, me l'ha raccontata Eugenia. Sua suocera, la mamma di Gendun, tibetana, è morta a 88 anni qualche tempo fa, mi sembra in settembre, lunga e difficile vita la sua con un marito ex funzionario del Dalai lama che al tempo dell'invasione cinese fu messo in prigione per tantissimi anni e torturato...come potete immaginare...quando uscì lei rimase incinta di Gendun, l'ultimo figlio gli altri erano nati prima della prigione del marito che morì dopo poco a seguito di tutte le sofferenze patite. Lei si fece monaca pur rimanendo a vivere in casa e, anche lei, subì la prigione. A 88 anni piena di vita e di positività voleva andarsene, la sua vita l'aveva vissuta fino all'ultima goccia, un grande lama qualche tempo fa fece per lei le pratiche per una buona morte e, quando la sua ora è giunta lei lo doveva sapere perchè 3 giorni prima si è messa a digiunare per prepararsi.
Il funerale è stato quello celeste, lo smembramento rituale del corpo perchè sia dato in pasto agli uccelli.
Lo so che a molti di voi questa sembrerà una pratica molto macabra ma là, a due passi dal cielo, non lo è. Ho visto un cimitero celeste ai pedi del Kailash ed è stata una delle esperienze di pace più profonde della mia vita tant'è che al ritorno al campo, c'ero andata da sola, dissi alla guida tibetana: "Se domani facendo il giro del Kailash dovessi morire fa in modo che mi smembrino..." Lui mi rispose che i cinesi non lo avrebbero permesso ma che avrebbe fatto in modo di portarmi nella valle degli Sherpa, in Nepal, dove lo avrebbero fatto...
Eugenia diceva che il funerale in Tibet dipende dal tuo oroscopo, (Adesso non immaginate l'oroscopo dei giornali) dipende se sei di: fuoco, aria, acqua o terra...lei era d'aria (io sono di fuoco deve essere per questo che voglio ASSOLUTAMENTE essere cremata!) lei è volata in cielo con gli uccelli.
Così, lei è stata smembrata dai monaci che lo fanno recitando preghiere e con una tecnica tutta particolare e sono stati contati 176 avvoltoi che sono arrivati e due aquile bianche che si sono spartiti il cuore. Gendun diceva che è un segno bellissimo che indica come lei fosse una grande anima, pare che a chi è stato una brutta persona gli uccelli non arrivino o pochi...come se anche la carne fosse inquinata.
Gendun e i fratelli sono stati felici di questa buona morte...in fondo, che si può desiderare di più! Una lunga vita compiuta, i tuoi cari attorno a te, il tuo corpo che ritorna in ciclo, che alimenta delle creature come tu hai alimentato tutti per tutta la vita...bello, non puzza di acqua stagnante e di raffineria...almeno per me!